Approfondimenti

le pillole di check-up sul mondo della comunicazione

Un assaggio di micro analisi, non commissionate, su campagne note i cui difetti o errori di comunicazione hanno certo tolto efficacia all’investimento e credibilità alla marca e al prodotto. Come noterete, in molti casi il difetto è nell’uso di metafore addirittura stupido o inutile. Esempi di come spesso le campagne appaiono come esercizi che divertono certo chi li ha prodotti o commissionati, ma che producono imbarazzo nel pubblico a cui sono destinate e alla fine non risultano utili all’obiettivo della marca.

INFLUENCER E PAN D’ORO. CUI PRODEST?

19/12/2022 Cosa influenza un influencer oltre alle vendite? Il prezzo, senza alcun dubbio. E qui chiederei agli addetti ai lavori, che dovessero leggere questa mia dichiarazione, di evitare di alzare il sopracciglio, perché le cose stanno esattamente così e dire il contrario sarebbe disonesto. Se poi, una forma di comunicazione commerciale opaca, suggerisce che l’incremento di prezzo (che un consumatore sano di mente dovrebbe aspettarsi senza stupirsene) sia giustificato dalla volontà dell’azienda di fare una donazione ad un ente non profit (come di solito è una struttura che si occupa di assistenza o cure mediche), allora questo incremento si sa che viene tendenzialmente tollerato dal consumatore che si sente di partecipare ad un gesto di solidarietà… Soprattutto a Natale questa cosa “ci sta” e “funziona” più che in altri momenti, anche se purtroppo “funziona” quasi sempre come spinta ai consumi e solo in rari casi come gesto consapevole e sentito. Premesso che una donazione, se viene condizionata dall’acquisto di un prodotto, è intestabile solo ai consumatori acquirenti, diventa legittimo che qualcuno cerchi di conoscere le dinamiche e gli importi di queste donazioni. Soprattutto se l’operazione commerciale, vestita da buona azione natalizia e amplificata da un’influencer, non viene descritta in modo chiaro. La piena trasparenza eviterebbe la “ricerca di informazioni”. È proprio quello che è successo in questi giorni, con la vicenda di un pandoro dotato di due “griffe”: quella aziendale e quella dell’influencer ingaggiata per dare risalto al gesto. L’indagine puntuta di una giornalista, allenata a rovistare nel torbido e a sgamare i furbetti, ha messo in luce la nebbia e l’improvvisazione che dilaga nell’informazione fra tutti i protagonisti... read more

I POLLI SONO POMPATI

12/12/2022 Niente di più falso e tuttavia è una convinzione di molti. Per mia personale curiosità, da anni seguo in modo approfondito il settore degli allevamenti avicoli. Quelli cioè che vengono chiamati intensivi, ma che ho scoperto sarebbe più corretto definire “protetti”. Il settore pubblicitario potrebbe essere un buon alleato del settore avicolo, ma si limita a produrre campagne che illustrano generiche bontà affiancate a didascaliche affermazioni che poco raccontano di quanto invece meriterebbe essere descritto. Anche a causa di questi approcci superficiali, affermazioni come “i polli sono pompati” circolano molto, perché quando si lascia che una fake circoli, magari lasciando che venga supportata con servizi pseudo giornalistici, di conseguenza la rete si inonda di fake su fake, facendo rimbalzare affermazioni che si tramutano in convinzioni “di gruppo” errate. Nel settore avicolo molti addetti ai lavori ritengono che una fake si smonti da sola nel tempo. Purtroppo non è così. Basta chiedere alle persone cosa pensano del sistema avicolo e di come credono che funzioni per sentirne delle “belle”, quasi tutte derivanti da fake. Ma chi assorbe queste false informazioni non ha grandi colpe perché è difficile trovare tutte le risposte su come i polli vengono selezionati, allevati, nutriti e gestiti. Quasi tutti consumiamo prodotti di cui non conosciamo che poche cose: riconosciamo i prodotti per nome (per distinguere fra prodotti sostanzialmente uguali) e possiamo ricevere qualche “informazione” leggendo quanto riportato sulle etichette. Ma dovremmo abituarci a cercare autonomamente informazioni sul nostro cibo, almeno quanto lo facciamo per conoscere i luoghi di vacanza prima di andarci. Se lo facessimo con la carne di pollo, scopriremmo che le normative vietano... read more

STUDIATELI GLI EFFETTI COLLATERALI DELLA COMUNICAZIONE COMMERCIALE!

05/12/2022 Come viene considerata l’etica nella comunicazione? Che cosa significa produrre comunicazione con spirito etico? Posso rispondere per me, per come la intendo io e per come mi piacerebbe venisse intesa da tutto il comparto. Sarebbe una rivoluzione culturale. E forse è per questo che questa (necessaria) rivoluzione viene osteggiata più o meno consapevolmente. Personalmente e professionalmente l’invito principale, che rivolgo a me stesso, ai colleghi e alle aziende è quello di riflettere, prima di comunicare, su ciò che un determinato messaggio potrebbe procurare negli altri. Anche considerando il percorso che farà. Di solito se una strategia produce ordini, si è soddisfatti, ma degli effetti collaterali non ci si occupa. Oso dire che la gran parte dei comunicatori dimostrano oggettivamente di non considerarli nemmeno perché, dicono in molti candidamente, “in fondo è solo pubblicità!”. Le conseguenze cui mi riferisco sono ovviamente quelle negative per il cliente finale che “a ruota” diventano negative (e in modo amplificato) anche per il committente del messaggio. Ma questo non sembra essere nei “pensieri” di aziende e agenzie. Faccio un esempio molto chiaro: incrementare le vendite di alcoolici è ritenuto un successo per chi li produce e li vende. Ma le situazioni pericolose, provocate da un loro abuso, non vengono prese in seria considerazione se non quando le aziende vengono costrette dal contesto a inserire messaggi di attenzione sulle bottiglie e nei messaggi pubblicitari. Cosa, quest’ultima, che in realtà non farebbero e non vorrebbero fare perché ritengono che “incida negativamente sulle vendite”. Le aziende quindi, restando sull’esempio degli alcoolici, non pensano mai troppo seriamente ad un evento collaterale derivante dall’incentivo al consumo di alcool... read more

A PROPOSITO DEI BLACK FRIDAY…

28/11/2022 Se sei un advisor per l’etica nella professione della comunicazione, non puoi che arrivare a criticare modelli di “comunicazione” e comportamenti commerciali come quelli che si palesano con il “Black Friday” e simili. Per evitare il rischio di esser fraintesi sul significato di questa premessa, proviamo a spiegarlo. Chi ha un negozio ha bisogno di vendere. Chi ha un’azienda produttrice di un qualunque bene materiale e immateriale anche. La questione va ora spostata sul sociale, sul civile e nell’importanza di diffondere e far acquisire coscienza sull’utilità di quanto si produce, si vende e si compra. E non di meno sulle ricadute sociali di ognuno di questi comportamenti. Chi si incarica di questo impegno? Come può essere condotto e divulgato? Come riuscire a incidere su quelle abitudini irrazionali che portano le persone a non rendersi nemmeno conto che aderire alle costanti pulsioni di acquisto, allontana da sé? Le persone, in generale, si sono formate ahimè in un sistema che ha perfezionato e “raffinato” la filiera produttore/consumatore usando le tecniche della comunicazione e dell’adv in generale… con l’effetto inevitabile di aver prodotto menti allenate a considerare l’acquisto come pulsione costante, riuscendo anche a trasmettere, come effetto collaterale, l’idea che comprare sia una necessità che determina addirittura distinzione sociale, cosa che in alcuni individui ha anche effetto terapeutico, lenitivo, calmante. Da tempo, nel settore della psicanalisi che studia cause ed effetti, si è arrivati a coniare il nome di una patologia che si è venuta a creare a scapito delle persone più fragili e permeabili a certi stimoli. Questa patologia è identificata con un acronimo: FOMO (Fear Of Missing Out), una... read more

SOCIETÀ PER AZIONI?

21/11/2022 Ogni tanto fra qualche critica non ci sta male inserire un suggerimento. Che ne dite!? Proverò allora a darne uno che proviene dall’applicazione del pensiero laterale, giusto per offrire soluzioni alternative ad una comunicazione commerciale che appare oggettivamente sempre più piatta, fatta con lo stampino, priva di contenuti degni di tale definizione e quindi inesorabilmente destinata al cestino della memoria. Mi dispiace, davvero tanto, vedere i costanti sprechi (mi riferisco alle campagne sciocche, stupide… e allo stesso tempo costosissime) che si contrappongono alle contemporanee dichiarazioni di crisi delle imprese. E la cosa che stupisce è che questo perdura nonostante la crisi appunto. È la fotografia di una società (della comunicazione) schizofrenica. Sprechi enormi che dovrebbero dispiacere proprio alle aziende che li subiscono, ma non si capisce bene se ciò che si vede “in giro” sia volontario autolesionismo o grave miopia di chi dirige certe aziende e agenzie. Certo ci sono anche situazioni neutre ed eccezioni, rarissime, di “racconti” interessanti, ma in questo panorama abbastanza desolante, incomprensibile e preoccupante, quello che appare in buona evidenza è che il comparto della comunicazione, ancora inspiegabilmente avallato dalle imprese committenti, pare ritenere insistentemente che “la soluzione” ai problemi di crescita sia la creatività. Chiedersi se esiste un modo diverso di “essere creativi” potrebbe allora aiutare a fornire nuovi suggerimenti al pubblico per scegliere un prodotto. Soprattutto perché attualmente aziende e agenzie producono senza sosta contenuti discutibili, praticamente dei “non contenuti”, con la faticosa intenzione di farsi ricordare e di provocare il desiderato e conseguente sèguito di affezionati clienti. E i tentativi in questo senso si ripetono continuamente sotto gli occhi di tutti.... read more

Oggi scriviamo tutti, ovunque… ma ci capiamo?

14/11/2022 Scrivere. Dove? Per chi? A chi? Per sé o per chi ti legge? Social o non social che sia, l’atto di scrivere testi destinati ai media fisici o digitali, richiede perlomeno sapere che scrivere ad un pubblico richiede poter essere letti, ma soprattutto compresi. Se scrivi trasmetti messaggi che devono (l’imperativo ci vuole) avere significati chiari e precisi… che non è facile, che non è un automatismo dello scrivere e che è uno scopo diverso dal voler dimostrare di esserci per esserci. Saper scrivere sembra facile. Ti viene insegnato fin da piccolo e oggi puoi farlo anche usando tasti che hanno sostituito la penna e hanno però contribuito a rendere tutto molto più freddo. Per evitare questo rischio (considero la freddezza un rischio) io scrivo a penna e poi ricopio, perché un testo freddo è quello che arriva da un calcolo che oggi “chiamano” SEO. Una mano che scrive a penna trasmette alla penna dei sentimenti. Un dito che preme un tasto trasmette solo una pressione ad un oggetto che reagisce rappresentando su uno schermo un segno predeterminato. Se scrivere è abbastanza facile in senso fisico, lo è molto meno saperlo fare per trasmettere contenuti chiari. Conoscere la lingua con la quale ci si esprime nel proprio Paese è una cosa, ma usarla nel rispetto degli altri e rispettare chi non la conosce a sufficienza è un impegno che non sembra siano in molti a prendersi. Nella scrittura il rispetto degli altri lo trasmetti rendendo ogni testo lineare e comprensibile anche ai meno preparati, addetti ai lavori o meno che siano. Nei cosiddetti social e nel web in... read more

PER LA PUBBLICITÀ, MA CONTRO CERTI PUBBLICITARI

07/11/2022 Mi occupo da molti anni di comunicazione in senso lato, sottolineando l’importanza di difenderla dalle incursioni inopportune di chi si autocelebra produttore di contenuti nel campo della pubblicità e in quello dell’informazione in generale. L’ambito pubblicitario è quello in cui è purtroppo più frequente che accada che la produzione di contenuti “capiti” in mano a persone che ne travisano la funzione e il potere, svuotando il loro lavoro di significati, con l’unico effetto di trasmettere appunto il vuoto. Quando per esempio commento pubblicità che, per il mio parere in controtendenza e tuttavia sempre professionale, meritano il pollice verso, ricevo spesso (e volentieri direi) commenti di personaggi più o meno titolati per intervenire che tendono a definirmi come “censore retrogrado e fuori luogo”. Spesso faccio finta di non averli letti, anche se in realtà li leggo volentieri perché mi danno conferma di quanta impreparazione ci sia in circolazione. Sono in molti purtroppo che, davanti alla mia critica su un determinato messaggio pubblicitario che contiene semi di violenza o volgarità, dimostrano di essere fermi all’idea benaltrista che c’è sempre qualcosa di peggio… Ma il fatto è che la pubblicità è uno strumento invasivo che ha degli obiettivi che ne producono anche altri di collaterali. Guardo il particolare e parlo della pubblicità criticandone l’insipienza, la stupidità, la violenza, l’inopportunità e il vuoto che troppo spesso trasmette. Chi fosse in grado di approfondire autonomamente gli effetti collaterali della pubblicità si accorgerebbe che il degrado mentale e culturale di molti (giovani e adulti) deriva (anche) dall’influenza che certa pubblicità ha su di loro. Da anni contesto l’operato di colleghi che faccio fatica a... read more

Alle belle statuine siete pronte? Sì!!!

02/11/2022 Simone de Beauvoir diceva: “la cosa scandalosa dello scandalo è che ci si abitua”. Di solito su un podio ci sono sempre i vincitori ovviamente. Ma sui podi motoristici e ciclistici c’è sempre però anche qualcun altro. Anzi a onor del vero andrebbe scritto “qualcun’altra”… cioè ragazze che hanno oggettivamente e “nel rispetto delle tradizioni” il compito di offrire, anche all’occhio la sua parte e di evocare antichi “premi”. Nella foto a corredo di questo articolo c’è l’esempio di un podio di motocross sponsorizzato da una bevanda. Al centro, l’uomo celebrato come un eroe. Intorno a lui, ragazze trattate come trofei o come elementi decorativi. È un’immagine già commentata anche da altri (nello specifico da Guillem Salles Turrel ) da cui prendo spunto riproponendone in parte i commenti che condivido e per fare un approfondimento: gli sport motoristici, prevalentemente maschili, hanno una lunga “tradizione” di “grid girls”, “paddock girls” e “umbrella girls”. Chi sono? Presto detto: ragazze ipersessualizzate delegate a reggere ombrelli, cartelli che indicano il numero di piloti sulla griglia di partenza o semplicemente “guarnire” i podi. La Formula 1 ha abbandonato questa pratica nel 2018 (ieri praticamente). Ma esistono ancora in altri sport motoristici (moto, Nascar, ciclismo, ecc.). Alcuni siti degli sponsor di questi sport definiscono le “belle statuine” come elementi di forza della strategia commerciale del marchio per i loro eventi, dedicandogli sezioni speciali del sito web e sfruttandone le qualità estetiche come un’imbarazzante strategia di “contenuto” per video, gallerie fotografiche e schede personalizzate. Una forma di sessismo che si manifesta in alcuni casi anche con questionari con domande del tipo: “In spiaggia, quale bikini... read more

Obesità e sovrappeso sono malattie. No alla “body positivity” utilizzata dalla pubblicità

24/10/2022 (NB: questo testo è la versione integrale del testo pubblicato su Il Fatto Alimentare il cui autore ed editore —Roberto La Pira— mi ha autorizzato a riportarlo Obesità e sovrappeso sono malattie, no alla body positivity della pubblicità (ilfattoalimentare.it) ) La pubblicità di marchi famosi, soprattutto americani e nord europei, da qualche tempo utilizza come riferimento modelle ‘curvy’ che strizzano l’occhio al pubblico sempre più vasto delle donne (ma anche uomini) affetti da sovrappeso o obesità. Si tratta di astute campagne di marketing che fanno leva sulla body positivity (linea di pensiero contrario alle critiche basate sul giudizio del corpo, che promuove l’accettazione di tutti gli aspetti fisici a prescindere da taglia, forma, colore della pelle, genere). “Questi messaggi confondono le persone (dichiara Massimo Volpe, presidente di Siprec – Società italiana di prevenzione cardiovascolare), i chili di troppo quando configurano ‘sovrappeso’ o ‘obesità’, vanno considerati una malattia vera e propria, oltre che un importante fattore di rischio per tante altre patologie, da quelle cardio-metaboliche, ai tumori, a quelle osteo-articolari. Valorizzare la body positivity e condannare il body shaming (derisione del corpo o della persona per il suo aspetto fisico) è sacrosanto, quando l’intento è quello della ‘inclusività’ e della guerra alla discriminazione del ‘diverso’. Per nessuna ragione si deve far passare il messaggio che l’obesità vada considerata come una condizione ‘normale’, addirittura alternativa alla magrezza eccessiva o al normopeso. L’obesità è una patologia cronica, una malattia di per sé che potenzia e si tira dietro una serie di altri fattori di rischio, dall’ipertensione, alle dislipidemie, al diabete, contribuendo attivamente ad aprire la strada a molte altre malattie. L’obesità e il sovrappeso vanno affrontate e trattate già... read more

Cosa sappiamo (e da chi) sugli allevamenti avicoli?

17/10/2022 Il pollame è diventato la principale fonte di carne e il suo contributo all’alimentazione umana è in aumento: “Il pollame è la specie animale domestica più diffusa al mondo (FAO, 2016)”. Tuttavia puoi fare tutta la pubblicità che vuoi a un pollo o a un uovo, ma se manca la corretta informazione su come funziona l’approvvigionamento di polli e uova per l’alimentazione umana, basta qualche filmato e qualche testo struggente per far apparire un comparto responsabile in un’entità malvagia. L’atteggiamento delle organizzazioni che contrastano gli allevamenti avicoli protetti (altrimenti definiti intensivi) è infatti il risultato dell’incrocio fra ideologia e scarsa volontà all’approfondimento scientifico. Basterebbe un dialogo aperto e una comunicazione serena fra le parti e si potrebbe giungere con meno patemi d’animo e fastidiose interferenze (anche paradossali) a perfezionare le già elevate attenzioni al benessere animale che il comparto avicolo affina anno su anno che hanno portato ad un incremento costante di efficienza biologica e sostenibilità ambientale. Oggi per esempio, un pollo, per raggiungere un peso di 2,5 kg, consuma mezzo chilo di mangime in meno rispetto a 15 anni fa, che si traduce in una riduzione del 37% del terreno necessario per la produzione del mangime. Non va dimenticato infatti che l’avicoltura ha l’obiettivo di rendere disponibili alimenti che siano contemporaneamente sani, nutrienti ed economicamente accessibili ai più. È anche necessario riflettere sul fatto che, proprio la ricerca di ottenere dei ritorni economici da questo tipo di impresa, produce in modo collaterale (poco conosciuto) un costante incremento del benessere animale… che è tuttavia il tema più attenzionato sia dal comparto che dai suoi detrattori. Si riflette raramente... read more

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