Approfondimenti

le pillole di check-up sul mondo della comunicazione

Un assaggio di micro analisi, non commissionate, su campagne note i cui difetti o errori di comunicazione hanno certo tolto efficacia all’investimento e credibilità alla marca e al prodotto. Come noterete, in molti casi il difetto è nell’uso di metafore addirittura stupido o inutile. Esempi di come spesso le campagne appaiono come esercizi che divertono certo chi li ha prodotti o commissionati, ma che producono imbarazzo nel pubblico a cui sono destinate e alla fine non risultano utili all’obiettivo della marca.

TUTTO QUELLO CHE MANGIAMO, PRIMA ERA VIVO

03/10/2022 È tragico, ma inevitabile: gli esseri viventi possono sopravvivere solo nutrendosi di altri organismi viventi. Basandoci su questa incontestabile premessa (anche se ci sarà sempre qualcuno che si auto convince del contrario) possiamo cercare di comprendere il senso delle battaglie di tutte quelle organizzazioni impegnate nella difesa degli animali. Soprattutto va chiarito che il genere umano per sopravvivere deve mangiare e che allevare o coltivare sono gli unici modi che “sapiens” ha per nutrirsi. Soprattutto perché le esigenze riguardano miliardi di persone che morirebbero di fame se non ce ne fossero altre che ci pensano. Torniamo alle organizzazioni che comunicano spesso sul tema degli allevamenti e del benessere animale e ne parlano come se il proprio obiettivo fosse quello di far chiudere un po’ alla volta gli allevamenti. Lo fanno criticando prima un aspetto, poi un altro, affermando che in quegli allevamenti accadono fatti gravi e chiedendo interventi sulla qualità della vita degli animali stessi. Affermano che il loro agire è orientato a stimolare interventi governativi sugli allevamenti affinché vengano approvate leggi che ne determinino attenzioni prestabilite (da loro). Su questi temi seguo da tempo la questione avicola. E lì si concentra il mio interesse ad approfondire, sia perché è l’ambito dal quale, a livello mondiale, provengono fonti di nutrimento di qualità, a basso costo e “semplici” da organizzare rispetto ad altre, sia perché è un settore in cui la ricerca del benessere animale (chiesto a gran voce dalle associazioni animaliste e ambientaliste in genere) non solo è già presente, ma è addirittura esasperato. Ma a sentire i vari detrattori degli allevamenti non sarebbe così e anzi gli... read more

LA PAURA COME STRUMENTO COMMERCIALE

26/09/2022 Da tempo sta avvenendo un’“evoluzione”, eticamente insopportabile, delle strategie comunicative verso una forma di manipolazione del linguaggio e della mente. Si sviluppano come fossero naturali, ma generate in realtà dalle scelte consapevoli di molti comunicatori per risolvere problematiche commerciali. Nascono dall’idea, per alcuni necessaria, di vendere ad ogni costo anche a costo di confondere le logiche del destinatario del messaggio. Un esempio: cosa evocano oggi le parole “moderno” e “progresso”? Erano termini che suggerivano ottimismo, benessere diffuso, felicità… Oggi è in atto una revisione dei loro significati di cui neppure ci accorgiamo perché è diventato un processo culturale. Anzi, commerciale. In pubblicità “il progresso” sta assumendo il volto di una subdola minaccia di esclusione che le persone meno attrezzate culturalmente assorbono come spugne adeguandovisi supinamente: il termine “progresso”, con i suoi sinonimi, viene evocato con l’implicita accezione che “se non ti adegui resti indietro, diventi obsoleto, inadeguato, vecchio, da rottamare…”. Tali “strategie” inducono reazioni assimilabili alla “paura”. Una paura che “promuove l’omologazione”. La paura di rimanere “indietro” sta occupando la mente di molti, spingendo chi ne è vittima a cercare protezione da qualunque cosa possa mettere a rischio il suo essere “al passo con i tempi”. Prolificano quindi assicurazioni in ogni contesto perché abbiamo paura di perdere quanto pensiamo di aver conquistato. Aumenta la ricerca di rassicurazione di essere nel giusto, di essere aggiornati, adeguati, accettati. Con la complicità irresponsabile di chi lavora nella comunicazione commerciale stiamo costruendo una società isterica e terrorizzata dall’idea di “restare indietro”. Ci ingolfiamo di sostanze nutritive manipolate artificialmente e poi di medicine che ne allontanino gli effetti collaterali. Ci allontaniamo dalla terra per poi riportarla fin... read more

FACCE RIDE!

05/09/2022 Può l’umorismo risolvere la vuota, triste e insopportabile consuetudine della comunicazione commerciale di patinare anche l’impatinabile? Domanda stupida. E spiegherò perché. Comunque qualcuno ogni tanto ci prova. Peccato venga fatto, come sempre accade con tutti i cosiddetti trend, solo perché qualche sondaggio pare indicare che: “gli italiani” gradirebbero essere intrattenuti dalle aziende con siparietti ispirati dall’umorismo e dall’ironi, che sceglierebbero più volentieri un’azienda che li fa sorridere e che -dice il sondaggio- pure i “manager” sarebbero aperti all’uso dell’ironia se solo si sentissero più rassicurati sull’efficacia di “tale scelta”. Un sondaggio di per sé insulso, perché è come chiedere se preferiamo essere allegri o tristi, e doppiamente insulso perché forza impudentemente verso una presunta utilità, per le imprese, di divertire i clienti. Sulla capacità dei pubblicitari italiani di essere ironici va steso un velo pietoso. Già alcuni anni fa ricordo di un collega che, ad un convegno in un’Università dove eravamo entrambi ospiti relatori, disse una cosa che -quella sì- fece sorridere amaramente la platea: “… qualcuno mi ha chiesto di scrivere un libro sull’ironia nella pubblicità italiana. Gli ho risposto che sarebbe un esercizio facile, perché il libro sarebbe composto solo da pagine bianche.” Oggi non è diverso. E aggiungo che produrre umorismo o fare ironia non sono automatismi attivabili a comando. È necessario soprattutto esserne capaci e, anche lo si fosse, bisognerebbe chiedersi seriamente se far ridere sia qualcosa di davvero necessario per vendere un prodotto. Non solo. Se la risposta a quest’ultimo interrogativo fosse “sì” allora dovremmo anche collocare un gran numero di persone nel “quadrante degli stupidi” del famoso diagramma di Mario Cipolla in... read more

SE LA PUBBLICITÀ INFORMASSE… FORMEREBBE CONSUMATORI CONSAPEVOLI

11/07/2022 L’informazione è comunicazione. Viceversa non sempre. La pubblicità è né una, né l’altra, ma potrebbe trasformarsi e recuperare gradi di reputazione. Come? Prendendo spunto ad esempio da una ricerca sui consumatori, condotta in Gran Bretagna, che ha evidenziato quanto sarebbe opportuno agire per un miglior rapporto fra pubblico e scienza. Soprattutto per l’agricoltura e la produzione alimentare. Science for Sustainable Agriculture (scienceforsustainableagriculture.com) ha rivelato una grande mancanza di consapevolezza tra i consumatori (britannici in questo caso, ma intuitivamente riguardante quasi tutti) sulla provenienza del cibo e su quanta innovazione scientifica sia presente nel suo sviluppo e produzione. L’indagine indipendente, condotta dall’agenzia di ricerca sui consumatori England Marketing Ltd, ha cercato di fare “un’istantanea” rappresentativa degli atteggiamenti del consumatore cercando di stabilire il grado di consapevolezza sull’intervento scientifico in agricoltura e nella produzione alimentare. Lo studio ha utilizzato l’England Marketing Panel, composto da persone con un interesse specifico per cibo, agricoltura e sostenibilità al fine di ottenere risultati che fossero sopra la media in termini di consapevolezza e comprensione. È tuttavia emerso che i consumatori che si considerano ben informati sul significato di “naturale” e “sostenibile” in campo alimentare, risultano poi in gran parte ignari del livello dell’intervento scientifico nei prodotti freschi e ingredienti di base, tendendo a considerarli non influenzati dall’intervento umano. Il panel si è rivelato stupito nello scoprire che le versioni davvero “naturali” (originarie) degli alimenti di tutti i giorni (come mais dolce, carote e banane) sono in realtà irriconoscibili e non commestibili rispetto ai loro equivalenti moderni e che è l’intervento scientifico ad averli resi come oggi li conosciamo. Inoltre, con l’eccezione di banane e... read more

INFLUENCER… MA PERCHÉ?

04/07/2022 Non è chiaro perché, né quando di preciso, ma senza dubbio è successo (ormai da un po’) che ad un certo punto le aziende hanno perso fiducia in sé stesse. Meglio però precisare che questo “salto indietro rispetto alla consapevolezza, alla capacità di parlare di sé, al coraggio di affermare con orgoglio ciò che si produce e si vende” è da attribuire alle persone che gestiscono le aziende che, pian piano nel tempo, sono “cambiate” indirizzandosi verso un processo di apparente normale avvicendamento, portando con sé capacità diverse pseudo moderne, ma perdendone altre. Quali di queste capacità e consapevolezze siano preferibili agli scopi di sviluppo ed evoluzione di un’azienda potrebbero essere definibili soggettivamente, ma solo fino ad un certo punto. Perché non si spiega altrimenti come siano riuscite le agenzie di pubblicità (oggi ormai inglobate a loro volta in sistemi onnivori e uniformati a logiche soprattutto numeriche), a far credere a chi governa aziende, di dimensioni anche rilevanti, che per parlare dei loro prodotti si dovessero assumere dei testimonial famosi, spesso famosi solo per essere molto presenti nei vari media, ma con nessuna qualità attinente (se non fantasiosa e irreale) i prodotti per parlare dei quali vengono pagati. E già vedere un personaggio, in qualche modo già noto al pubblico, che promuove un prodotto o un servizio industriale poteva portare a interrogarsi sul perché di tale scelta e del perché l’azienda non scegliesse di utilizzare un proprio diretto rappresentante o anche solo una propria comunicazione istituzionale. Va “riconosciuto” che il testimonial è uno strumento usato già fin dagli albori della pubblicità. Resta però che questa scelta si può... read more

SUGGERIMENTI PER COMUNICARE IL SETTORE AVICOLO…

20/06/2022 Fra gli incarichi più particolari e, solo apparentemente semplici, che possono giungere a professionisti e agenzie di comunicazione, ci sono quelli del settore avicolo. Ho visto e continuo a vedere colleghi che si esercitano nell’applicare le loro “qualità creative” a questo settore offrendo anche in questo caso la conferma dell’appiattimento generale del settore pubblicitario. Retorica, luoghi comuni, semplici assicurazioni sulla presenza delle caratteristiche (quelle richieste da ambientalisti e animalisti) condite da ambientazioni surreali, storie stucchevoli, canzoncine imbarazzanti, frasi buttate lì e un gran lavoro di grafica, luci, regia. Manca solo che anche in questo campo si chiami in aiuto uno chef stellato, un regista famoso o un influencer che promuova le qualità della carne di pollo e delle uova e poi avremo assistito all’ennesimo spreco di risorse nonché ad un’ulteriore occasione persa di lavorare seriamente come reali consulenti del settore, anziché come “consumatori di budget dell’azienda cliente”. Viene da pensare che al settore avicolo, forse per deformazione professionale, piaccia “farsi spennare” senza troppe domande se non quelle tipiche di chi investe in pubblicità (quanto costa, cosa mi rende, prenderemo un attore famoso?, riceveremo un premio?). Sarà il limite dei 30” (60” al max), sarà la velocità con cui spesso viene chiesto di portare a termine l’incarico, sarà l’abitudine degli imprenditori del settore avicolo a trasmettere informazioni asciutte e tutte uguali e solo e sempre quelle… resta il fatto che anche gli spot (e le campagne in genere) del settore avicolo sono indistinguibili fra loro in termini di contenuti (i marchi effettivamente sono diversi… almeno quelli). I tentativi di differenziazione restano intenti: chi si dà la pagella da solo... read more

SAPETE PARLARE, SAPETE SCRIVERE, SAPETE LEGGERE… MA NON È DETTO CHE QUALCUNO VI CAPISCA!

13/06/2022 Scrivere: ci viene insegnato alle elementari. Veniamo istruiti a disegnare ogni singola lettera del nostro alfabeto e a metterle sia in “ordine alfabetico”, sia nelle possibili combinazioni fra loro a formare le parole che usiamo per comunicare con gli altri… parlare sembra più facile e infatti prima di imparare a scrivere impariamo a parlare. Ma non è detto. Poi ci esercitiamo a leggere, a comporre testi in forma scritta e ad esporre oralmente, affiancati da chi ha imparato a farlo “correttamente” prima di noi, che solitamente è un adulto.Ma non è detto. Dipende dal contesto sociale. Poi il percorso scolastico -e di vita- ci sottopone a svariate occasioni di verifica della solidità di quanto abbiamo assorbito e come. Avviene in modo diretto e indiretto attraverso l’assimilazione di concetti, testi e formule, contenute in quelle che chiamiamo “materie”, che formuleranno il nostro “sapere” comune o personale. La vita diventa così anche una palestra che ci consente di rifinire quotidianamente le nostre risorse verbali. Confrontandoci con gli altri riceviamo segnali più o meno diretti delle nostre capacità di trasferimento del nostro pensiero, dei nostri contenuti, etc. Tuttavia questi “segnali” non è detto che ognuno di noi sia in grado di rilevarli e considerarli. Ognuno ha il suo personale radar per accorgersene. Ma non è detto. Perché c’è chi non sa di averlo, chi non sa usarlo, chi intenzionalmente non lo considera… Ognuno di noi comunica in modo anche impercettibilmente diverso da ogni altro e quello che sempre accade è che la comprensione di chi ci legge o chi ci ascolta è inevitabilmente sempre parziale. Di una lettura o di un... read more

AI PUBBLICITARI SERVE LA NEURO

06/06/2022 C’è una grande differenza fra l’impegno profuso per comprendere quale prodotto sia necessario e quindi richiesto “dal mercato” e una tecnica pensata e utilizzata per indurre all’acquisto di un prodotto “X” usando le neuroscienze. Parliamone. Spero intanto non serva dire che il termine “mercato” è una brutta sintesi di “persone che possono comprare”. Persone come tu che leggi, che magari ti occupi di marketing, che fai la spesa e giri cmq per i centri che ormai sono quasi solo commerciali. Ma quando compri qualcosa, perché lo fai? Qualcuno ha cominciato (da qualche anno) a concentrarsi sul fatto che nella scelta di un prodotto le emozioni tendono a sovrastare la razionalità. Chi è operativo nelle attività di ricerca e di marketing sa che una gran parte dei prodotti che nascono oggi non sopravvive all’incontro con “il mercato”. Circa l’80% smette di esistere dopo pochi incontri con il pubblico. Perché? Il buon senso suggerirebbe che l’impegno di dar vita ad un prodotto dovrebbe essere proporzionale alla sua utilità. Ma dato che pare viga la regola del “tutto è relativo”, le aziende focalizzano comunque le loro attenzioni su quanto hanno pensato di produrre secondo logiche spesso imbarazzanti e spacciate per innovazione, affidandosi a consulenti che “studiano” l’efficacia di ogni elemento che accompagna un determinato prodotto: spot, packaging, etichette… fino a concordarne la posizione in una vetrina o su uno scaffale. Questi “studi” si concretizzano in ricerche “di mercato”, test, interviste, sondaggi… Tramite questi “ingegni” si vorrebbero individuare le caratteristiche preferite da un campione di persone, confidando che queste dicano davvero quello che pensano, confidando inoltre che poche centinaia di verdetti possano rappresentare... read more

LA DIPENDENZA

30/05/2022 Chiunque ti paghi per quello che fai è il tuo datore di lavoro. Osservazione non banale come sembra, perché usando il pensiero laterale in un “sistema circolare” come quello in cui viviamo dove tutto è collegato, possiamo affermare che per quanto “in alto” tu ti possa considerare di essere nella gerarchia del sistema, hai sempre un datore di lavoro da cui dipendi. E più in alto vai e più i tuoi datori di lavoro sono numerosi: sono coloro che comprano o usano i prodotti o i servizi che hai scelto di produrre. Restando però nel contesto della pubblicità, quanto appena osservato è uno dei motivi per cui proprietari di aziende e agenzie sarebbe opportuno rivedessero il loro ruolo e la loro responsabilità in relazione a questo punto di vista. Perché, sarà anche banale ricordarlo, ma il pubblico cui un’azienda si rivolge tramite la pubblicità è quello da cui derivano le sorti dell’azienda e delle agenzie e quindi degli stipendi di tutti coloro che vi lavorano a qualunque titolo.  Il pubblico è quindi la più diffusa, capillare e sottostimata forma di “datore di lavoro”, che ti paga comprando o meno quello che gli presenti. Ci sono addirittura numerosi contratti scritti che regolano questo genere di rapporto: non solo il Codice civile e penale, ma anche altri (più di uno) fra cui lo IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) e l’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato) che sono in sostanza forme di vigilanza e di intervento che ogni operatore del settore deve conoscere. O almeno dovrebbe. Sono organismi certamente perfettibili, che funzionano abbastanza bene e che lavorano molto! Ed è però proprio questo il... read more

COMPLICI POSITIVI O NEGATIVI?

23/05/2022 I consulenti per la comunicazione delle aziende, sono loro “complici”? Può un pubblicitario, un comunicatore, avere le medesime responsabilità dell’azienda cui presta i propri servizi quando questi producono risultati di qualunque segno? Propendo personalmente per una doppia risposta affermativa, facendo però precisazioni e distinguo necessari, soprattutto perché, chi comunica per professione, con le parole, i loro significati e le loro combinazioni può orientare una scelta. E non è raro che ci riesca. Al termine “complice” i vocabolari danno sostanzialmente la seguente definizione: “chi, in accordo con altre persone, prende parte attiva o secondaria nell’organizzazione o nell’esecuzione di un progetto o azione criminosa o comunque moralmente riprovevole”. Una definizione che si ritrova più o meno uguale in quasi tutte le edizioni, ma che contiene un seme di negatività che permane nel lessico comune anche se, per la verità, esiste una definizione più morbida, elencata come secondaria, che considera la semplice idea della “collaborazione attiva nel raggiungimento di un obiettivo” senza attribuirvi valore di alcun segno. Ma in linea generale il termine rimanda prevalentemente ad un valore negativo. Restando nel mondo della comunicazione è innegabile, normale, assodato e palese che agenzie e consulenti operano a fianco delle aziende, per sostenerle nel raggiungimento di ben determinati scopi e fini. Ed è proprio su questa trasparenza di ruolo che ritengo doverosa e possibile una doppia lettura del termine “complice”, affinché i protagonisti del mondo della comunicazione possano riflettere sulle responsabilità che questo porta con sé. Una lettura che distingua e identifichi con chiarezza ciò che anima il pubblicitario complice e che ne offra un profilo diverso a seconda che il suo “contributo” spinga verso una direzione o un’altra. Ma quale direzione diversa dagli... read more

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