24/10/2016
Corona, il fotografo non la birra, è indubbiamente la manifestazione di un malessere della nostra società. Le sue colpe sono le nostre debolezze e la nostra ignoranza e, per certi versi, sono colpe che dovremmo scontare insieme a lui, almeno facendo un atto di pentimento collettivo per aver permesso che certi comportamenti diventassero uno spettacolo da seguire. I colpevoli sono tanti, ma in cima alla piramide c’è la TV e chi ne decide i contenuti. Perché lui e quelli come lui vivono di immagine … se qualcuno gli consente di farlo.
Il personaggio di Corona è, appunto, un personaggio. Un personaggio che “si è fatto da sé” sfruttando, forse consapevolmente, il nulla che lui stesso ha scelto di rappresentare concretamente. È diventato l’incarnazione di qualcosa di intangibile. Praticamente un ossimoro.
Si è fatto da sé, dicevo, ma con un grande aiuto esterno che gli è arrivato da un contesto degradato da abitudini e comportamenti indotti da una cultura dell’immagine promossa dai media e da una certa pubblicità irresponsabile. Ambiti in cui, non nascondiamoci dietro ad un dito, si muovono persone che scelgono di fare certe scelte.
In quel che affermo non c’è alcun intento di offendere Corona, a meno che non si consideri offesa la semplice constatazione di un dato di fatto: chi è costui se non una figura che ha sviluppato all’ennesima potenza, e successivamente applicato, l’idea che apparire sia un valore cui si possa collegare un certo numero di benefici monetizzabili? Corona non ha fatto altro che autoproclamarsi maestro, divulgatore, alimentatore, sostenitore, promotore, agente … di un preciso malessere, un disturbo, una patologia che pervade la nostra società che si dimostra pericolosamente pronta ad attribuire, senza un minimo dubbio o un qualche sconcerto, l’appellativo di VIP a individui che, tolta la notorietà indotta dalla presenza su uno schermo, non hanno nulla di cui potersi vantare e nonostante questo si vedono riconoscere “l’onore della cronaca”. Si tratta insomma anche di una colpa collettiva. Molte, troppe persone non si rendono conto di questo incedere del vuoto, ma ciononostante lo percepiscono acriticamente e anziché evitarlo o declassarlo al livello che merita, ne fraintendono la consistenza e se ne lasciano affascinare … e addirittura lo seguono, forse perché il nulla assomiglia troppo all’infinito con cui, quindi, si confonde e di cui non si riesce a vedere la fine. Chi ne è attratto immagina che ci sia chissà cosa in quello che non si riesce a capire bene in cosa consista. Ma molti pensano che, visto che c’è, avrà un senso. Un’attrazione che, quando attecchisce, agisce sugli individui annebbiandone l’intelligenza e facendogli credere quasi religiosamente che “toccare” quel personaggio porti dei benefici alla propria reputazione. C’è chi arriva a pagare per poter assistere al nulla di questi personaggi che ovviamente sfruttano tale imbecillità per arricchirsi. Personaggi che rappresentano il vuoto, come Corona, ce ne sono ahimè molti. E sono tutti prodotti, nel vero senso della parola, dal sistema mediatico che li ospita e li trasforma in “macchine da soldi”, costruendogli intorno mondi artificiali. È esattamente il mondo della comunicazione commerciale a farlo accadere. Ma questo può verificarsi solo perché i modelli proposti dalla pubblicità non hanno antagonisti altrettanto “forti” nel mondo reale.
“È più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il potere.”: è la famosa frase di Gmork, il cane nero del film “La storia infinita”. Una frase che forse anche Corona ha tenuto presente nel progettare la sua discutibile “ascesa”. Mi piace pensare che per guarire da questo malessere possa bastare il consigliare di andare a vederlo questo film. Ma dovrebbero farlo gli adulti, accompagnati dai bambini.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale