18/04/2016
Il titolo? Nessun riferimento scabroso, parliamo “solo” di fedeltà (fidelity) commerciale. Quella che le aziende cercano costantemente di ottenere da parte dei clienti. E nessuna fascinazione per la lingua inglese, ma solo un “gancio” per consentire di aggiungere alcuni spunti di riflessione. Ottenere la fedeltà commerciale è un’impresa difficile (hard), soprattutto perché certe cose non si costruiscono a tavolino e soprattutto perché la fedeltà la ottieni, ma non la chiedi. Certo ci si può tentare, ma già l’idea di mettersi a “studiare strategie di fidelizzazione” esprime con le parole ’artificiosità che si andrà a produrre nelle azioni che sapranno di finto perché fintamente generose, fintamente affettuose, fintamente celebrative, fintamente spontanee … Onestamente finte. È importante esserne almeno consapevoli. Pensare di architettare sistemi per accalappiare la fiducia e la fedeltà di chi vorresti diventasse tuo cliente e continuasse a farlo, sembra cosa normale per un’attività commerciale ma, mi ripeterò, sottintende che stai cercando di fare una cosa che non avviene in modo naturale, magari perché quello che stai vendendo non è poi percepito così utile. Ci sarebbe da riflettere già su questo, ma se ciò non ti riesce facile comporta che la soluzione a cui ricorrerai conterrà una forzatura, una qualche forma di ipocrisia, di artificialità, di costruito … di innaturale appunto. E questo stai tranquillo che si percepirà. E si tratta di quelle percezioni che fanno la differenza fra essere ritenuti credibili, onesti, trasparenti, sinceri … o no e che di conseguenza ti faranno accettare o meno dal pubblico, che sceglierà di comprarti … o no. Le strategie studiate e applicate da agenzie e aziende sono talmente tante, ripetitive, prevedibili e ormai smascherabili (e sempre più spesso smascherate) che le persone cui vengono rivolte vi si sono ormai assuefatte e hanno acquisito particolari scaltrezze e abilità (queste sì naturali perché indotte dal contesto) nell’aggirarle e nel depotenziarle. Una sorta di anticorpi. Promesse, punti, sconti, parole sibilline, due per uno, tre per due, euro 99,99 … formule francamente sciocche, banali, ridicole e tipicamente da prima linea che producono risultati commerciali (forse) non certo attribuibili alla fedeltà -di cui si parla oggettivamente a sproposito – ma alla più semplice, naturale e ovvia individuazione che il cliente fa della sua propria area di convenienza. Si fa un gran rumore, si spendono i miliardi per sostenere qualità e valore di un prodotto e poi si sbraca velocemente per fare cassa … che è l’ultimo vero obiettivo. Nulla di male, ma perché mascherarlo? Ci sono poi strategie più autoreferenziali e di marca, a mio parere totalmente insensate e fuori luogo, che pretendono di costruire artificialmente aloni di fascino intorno al prodotto infarcendone all’inverosimile la comunicazione con termini inglesi. E a questo proposito la riflessione andrebbe fatta su almeno due fronti. Uno è quello che c’è in corso una forte diatriba sulla natura dell’affermazione della lingua inglese a discapito delle lingue native (questione molto seria, ma non affrontabile in modo esauriente in questo articolo). Il secondo è una questione di semplice opportunità linguistica: chi in Italia comunica, anche solo parzialmente, in inglese lo sa o no che la percentuale di italiani che parlano l’inglese è molto bassa e ancor più bassa è quella di chi l’inglese lo comprende? Sarò magari esageratamente educato e rispettoso, ma se vado in un Paese qualunque cerco di parlare la lingua in quel Paese più diffusa. E lo farò soprattutto se cerco di svolgere un’attività commerciale o istituzionale in quel Paese. Attività che presume che coloro con cui mi relaziono mi capiscano correttamente. Usare l’inglese non aggiunge nulla di reale alla realtà del proprio prodotto. E soprattutto non offre un incentivo alla fedeltà. E se poi parli in inglese agli italiani in Italia, la percezione che di te puoi pensare di trasmettere è di due tipi: o sei un colonizzato o sei un colonizzatore. Poi non lamentarti se non ti sono fedele.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale