13/12/2021
Da quando dall’analogico siamo passati al digitale possiamo fare sempre più cose con meno fatica. Bello, ma con molte conseguenze sul sistema economico e sulle competenze professionali di quanti producevano tutto in modo più “fisico”. In particolare il mondo della fotografia è stato letteralmente stravolto dalle nuove tecnologie che hanno modificato proprio il gusto “artigiano” del fotografo. Per non parlare delle ricadute sull’industria fotografica. Basta pensare cosa è successo ai produttori di “rullini” e di quanto vi era collegato direttamente e indirettamente. Come non approfittare quindi della testimonianza di Guido Alberto Rossi che, con la sua grande esperienza di fotografo nato analogico e l’immancabile ironia, mi ha raccontato un punto di vista sull’etica dell’uso di Photoshop.
“Amo e odio Photoshop (in italiano Fotosciop) in egual misura. Lo amo quando mi serve per togliere dal cielo blu una scia d’aereo o un uccello sfocato che non sono altro che un disturbo alla foto nel suo complesso. Lo odio quando invece lo usano dei fotografi Kaprezucca (nome preso in prestito da un noto ristorante di Coviolo, RE) come fosse una Colt, che nel vecchio West era chiamata “the equalizer” perché consentiva anche ad uomo basso di battersi alla pari con un gigante grazie ai suoi sei colpi. Photoshop se lo usi per aggiustare una vecchia foto il cui negativo ha seri graffi o per migliorare il colore di un’immagine ormai sbiadita, secondo un codice deontologico (non scritto) può andare bene, ma se incominci a modificare la foto inserendo o togliendo oggetti, persone etc. allora è male. Se la modifichi in un contesto di fotogiornalismo è addirittura peccato mortale, truffa e vilipendio perché mette in discussione tutta la veridicità di una foto e, a lungo andare, non si potrebbe più credere all’occhio imparziale della macchina fotografica. Recentemente, all’assegnazione di un importante premio fotogiornalistico, la foto vincente è poi stata squalificata perché il fotografo ha “ripulito” con Photoshop una fotocamera abbandonata in un angolo dell’immagine, particolare ininfluente nel contesto della foto, ma concetto inammissibile nelle foto di news. Invece per le foto pubblicitarie tutto è consentito perché sono studiate, progettate, costruite e posate; quindi, se togliamo i brufoli dal fondo schiena di una modella, va bene. Peccato per Nino Mascardi che quando ha scattato la famosa campagna per il marchio Roberta (art director Gianni Venturino) non esisteva Photoshop e quindi il lato B della modella doveva essere perfetto e senza brufoli. Immaginate quanto casting è stato necessario: decine di modelle in mutande prima di trovare quella giusta. Oggi molti fotografi sono più bravi nella postproduzione degli scatti che non dietro la macchina fotografica. Se fate caso a moltissime immagini di viaggio pubblicate nei periodici o nei depliant, vediamo dei cieli con colori finti come il presepio che però vanno di moda e francamente non so se è colpa del fotografo o del picture editor Kaprazucca e del suo cattivo gusto. Photoshop ha anche permesso ad un fotografo di creare una modella, inventata e costruita con tanti pezzetti di altre belle ragazze solo per dimostrare la flessibilità e la potenza della tecnologia. Recentemente l’artista/fotografo Mike Winkelmann, detto Beeple, ha creato e venduto a 70mln$ USA -tramite la casa d’aste Christie’s- un enorme JPG, un’opera fotografica composta da 5.000 token (lucchetto digitale basato sulla Blockchain che ne fa un pezzo unico), aprendo così una porta importante alla Crypto Art. Oggi moltissimi fotografi che creano foto artistiche nella expertise delle foto specificano se è stato utilizzato o no Photoshop. Non so se è nato prima il file fotografico digitale o Photoshop o se addirittura sono gemelli monozigoti, comunque sia, sono complementari ed inseparabili. La cosa impressionante è stata la velocità con cui il digitale e internet hanno sostituito la vecchia cara pellicola/diapositiva. Basta pensare che nel 2003 tutte le agenzie fotografiche e i fotografi avevano archivi con milioni di foto analogiche e già nel 2004 era più facile trovare un pollo grasso in Etiopia che una diapositiva in giro per le redazioni e le agenzie.”
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis