18/09/2019
Non sarebbe meglio per tutti se l’industria della comunicazione commerciale, invece che produrre spot demenziali e dar vita a contenuti artificiali, si occupasse di far “investire” i clienti solo in attività socialmente utili e ben comunicate? La domanda è pleonastica, ma meglio dare subito la risposta: “certo che sarebbe meglio”! Un motivo ci sarà se, invece, la “gente comune” ancora associa chi lavora in pubblicità ai “venditori di fumo”! Cosa spinge allora un’agenzia o l’azienda che la ingaggia, a scegliere ancora oggi di suggerire, ideare e produrre comunicazione infarcita di cose o show oggettivamente inutili se non a distrarre dalla realtà? Che senso hanno gli sciocchi artifici messi in atto per cercare di attrarre l’attenzione su prodotti che dovrebbero essere già interessanti? Questo spreco di risorse economiche e mentali, significa forse che i prodotti non possiedono qualità convincenti o sufficienti a giustificare la loro esistenza? Probabile. Ma se davvero ritieni che il “tuo” prodotto non abbia molto da dire oltre a ciò che la sua natura già esprime, se cerchi di attribuirgli un “valore” da aggiungere alle sue qualità intrinseche allora, anziché cercare di contaminare la società con delle idiozie surreali, potresti osservare le richieste che provengono dalla società reale e ascoltarne i bisogni effettivi, reali appunto, e infiniti. Perché non scegliere di impegnarsi nel progettare, sostenere e comunicare un intervento socialmente utile? Non sarebbe forse questa la dimostrazione di un vero interesse per i propri clienti potenziali? Senza buoni propositi di carattere sociale non si crea cultura e progresso sociale. Se chi governa qualunque cosa è uno stupido, le sue scelte amplificheranno la sua stupidità e queste rischieranno di contagiare altri. Purtroppo il contagio della stupidità mi sembra già molto evidente e qualcuno potrebbe obiettare che il genere di intervento o interesse che invoco non è compito delle aziende o delle agenzie di pubblicità. E perché no dico io? Nei fatti sono le aziende, e le persone che esse coinvolgono, che costituiscono la società reale, mentre la politica sembra solo un espediente inefficace per cercare di mettere tutto in ordine. Ma restando al tema della responsabilità sociale potrei osservare che chi è a caccia di utili dovrebbe comprendere che l’utilità è l’utile più importante. Rivedere il senso del valore delle cose da dire e di quelle da fare. Anche quando parliamo “solo” di pubblicità. È una questione molto più seria di quello che sembra e, ovviamente, centra l’etica. Aziende e agenzie di pubblicità si reggono sulle qualità di persone che spesso ritengono sia loro compito intrattenere il pubblico con artifici forzatamente fantasiosi, oggettivamente irreali, inutili e neppure divertenti. Avviene tutto per un’abitudine che alimenta se stessa, la cui origine pare sfuggita agli stessi autori e committenti. Il vuoto, il nulla … non possono alimentare e generare altro se non il vuoto stesso. Ricordiamo che al netto di ogni esoterica spiegazione dei vari deliri che vengono rappresentati in molte pubblicità, lo scopo di certe costose e impegnative rappresentazioni dovrebbe essere di creare attenzione, informazione, motivazione di acquisto, ricordo del messaggio, motivo di fedeltà alla marca. Cosa spinge allora molti addetti ai lavori, interni ed esterni alle aziende, a dedicare la loro intelligenza nella produzione di questi siparietti che sviliscono e impoveriscono l’azienda che li paga, visto che vanno continuamente reinventati? È evidente la mancanza di un vero “controllo sull’etica dell’impiego delle risorse” come pure è evidente “la forte disattenzione di chi licenzia certe cose”. Fare cose che si sgretolano costringe a rifarne altre. È economia questa? Se il rispetto delle cose e delle persone con cui si ha a che fare non è presente anche in qualunque forma di comunicazione, significa che non è ritracciabile neppure in coloro che quella comunicazione la producono. Si cresce come sistema se si cresce come persone. Il vero “purpose” di cui si sente parlare non può che essere uno: “far cresce le persone”.
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis