07/05/2018
Stiamo percorrendo una strada che via via abbiamo consentito venisse costellata da artifici che stanno prendendo posto nelle attività svolte un tempo solo dalle persone. “Cose” i cui benefici e controindicazioni si possono facilmente individuare. Ma la questione da non perdere di vista non sta tanto nel comprendere i pro e i contro –oggettivi, evidenti e spesso controversi- bensì nel riuscire a percepire gli aspetti collaterali di questa forma di “sviluppo dell’uso dell’intelligenza” … che non è propriamente una “evoluzione” quanto più una forma di abdicazione al virtuale.
Nei fatti si tratta di una scelta molto rischiosa, i cui effetti collaterali stiamo già assaggiando senza però dar loro il giusto peso. Abbiamo dato il benvenuto incondizionato alla tecnologia e al web in generale, con tutte le estensioni che ne sono derivate, perché consentono di agevolarci in molte funzioni, di avere informazioni in tempo reale, sostituendoci in attività pericolose o delicate, abituandoci ad usare meno le nostre capacità di memoria (tanto c’è quella dei computer!), rendendo più celeri di un tempo molte operazioni, addirittura conducendo autonomamente interi processi produttivi, fino ad agire in nostra vece alla guida non solo di attività industriali, ma anche di mezzi di trasporto per merci e persone … e non sappiamo ancora fin dove riusciremo a spingerci. Tutto bello! Ma, come per i medicinali, il buonsenso dovrebbe indurci a determinare le dosi e le controindicazioni di queste entità, da noi generate, alle quali rischiamo di consegnare e perdere le chiavi di accesso al mondo reale. Un problema che riguarda la gestione consapevole di potenzialità che possono essere fraintese da coloro che sono dei semplici utilizzatori finali.
Ci stiamo adeguando a muoverci -in senso lato- supportati da aggeggi più o meno grandi che ci piace credere possano pensare sempre al nostro posto e ai quali scegliamo di affidare le nostre scelte, con una certa incosciente fiducia, senza renderci conto che queste deleghe rischiano di portarci ad abdicare alla nostra responsabilità e, comunque sia, stanno partecipando attivamente al decadimento delle relazioni umane. Sì, perché l’abitudine a spostare nel virtuale e nel digitale le nostre azioni allontana da noi la percezione della responsabilità individuale e l’importanza del confronto diretto reale. Purtroppo si tratta già di un dato di fatto che colpisce soprattutto i più giovani, ma che coinvolge nelle responsabilità gli adulti (o pseudo tali) che li hanno in carico.
Assistiamo, ormai quotidianamente, a vicende direttamente collegabili alle forme di deresponsabilizzazione prodotte con buona evidenza dalla percezione dei “poteri” che il virtuale e il digitale insieme possono dare l’idea di attribuire.
Accade così che in una scuola il digitale testimonia che le redini della conduzione sembrano passare di mano; succede che un genitore non riesce ad ottenere disciplina dal figlio ed è pure il primo a non riconoscere i ruoli in un contesto sportivo o nelle istituzioni (per citare solo alcuni recenti accadimenti)… e quando questi fatti si ripetono e si moltiplicano, significa che l’autorevolezza e il rispetto si sono persi da qualche parte, e che ci troviamo davanti ad una triste e tragica contingenza di un fatto, ormai diffuso, le cui origini sono da ricercarsi nella costante esposizione a quell’insieme di segnali veicolati da telefonia cellulare, internet, tv-spazzatura, giochi online, azzardo autorizzato dallo Stato, etc. che hanno formato una nutrita generazione di genitori e figli privi di modelli reali e affidabili da seguire, sostituiti da surrogati artificiali prepotentemente e incoscientemente costruiti da un sistema commerciale privo di freni … E se arriviamo, come siamo arrivati, a utilizzare anche recruiter digitali diventa evidente la mancanza di sensibilità che sta attraversando il mondo del lavoro.
Formule artificiali che possono (dovrebbero) solo far paura, non tanto per ciò che sono in grado di fare, ma per il fatto che sono soluzioni pensate e approvate da qualche umano che evidentemente ha una certa attitudine a considerare i suoi simili poco più di una periferica.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis