30/05/2022
Chiunque ti paghi per quello che fai è il tuo datore di lavoro. Osservazione non banale come sembra, perché usando il pensiero laterale in un “sistema circolare” come quello in cui viviamo dove tutto è collegato, possiamo affermare che per quanto “in alto” tu ti possa considerare di essere nella gerarchia del sistema, hai sempre un datore di lavoro da cui dipendi. E più in alto vai e più i tuoi datori di lavoro sono numerosi: sono coloro che comprano o usano i prodotti o i servizi che hai scelto di produrre. Restando però nel contesto della pubblicità, quanto appena osservato è uno dei motivi per cui proprietari di aziende e agenzie sarebbe opportuno rivedessero il loro ruolo e la loro responsabilità in relazione a questo punto di vista. Perché, sarà anche banale ricordarlo, ma il pubblico cui un’azienda si rivolge tramite la pubblicità è quello da cui derivano le sorti dell’azienda e delle agenzie e quindi degli stipendi di tutti coloro che vi lavorano a qualunque titolo.
Il pubblico è quindi la più diffusa, capillare e sottostimata forma di “datore di lavoro”, che ti paga comprando o meno quello che gli presenti.
Ci sono addirittura numerosi contratti scritti che regolano questo genere di rapporto: non solo il Codice civile e penale, ma anche altri (più di uno) fra cui lo IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria) e l’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato) che sono in sostanza forme di vigilanza e di intervento che ogni operatore del settore deve conoscere. O almeno dovrebbe. Sono organismi certamente perfettibili, che funzionano abbastanza bene e che lavorano molto! Ed è però proprio questo il problema perché, se serve farlo notare, laddove organismi che intervengono su irregolarità più o meno gravi della pubblicità lavorano molto, significa che ci sono molte aziende, supportate da altrettante agenzie, che agiscono in modo scorretto, almeno per quanto riguarda quei codici, conosciuti e teoricamente condivisi.
Va poi precisato che parlare di scorrettezze di aziende e agenzie è sempre impreciso, perché in realtà sono le persone (di azienda e di agenzia) i responsabili di ciò che viene pensato, prodotto e messo in circolazione. La cosiddetta “Marca” esiste se esistono persone che la gestiscono. E la Marca è come un burattino: dentro c’è la mano di chi lo governa. È forse la tua mano? Pensaci. Perché se al pubblico non piace come si comporta quel burattino, il teatrino dura poco e il burattinaio viene licenziato dal pubblico… che non gli paga più lo spettacolo.
Fin qui sono tutte osservazioni su questioni che sono lì da vedere e che si spiegano da sole, ma abbiamo solo scostato la tenda per farle notare perché l’etica, dietro al drappo, in quei casi latita. Quindi? Qualcuno che sta leggendo si sente tirato in ballo? È molto probabile, ma spero siano pochi, perché oggi si sente la necessità di persone autentiche in ogni ambito, inclusa la professione del comunicatore o del dirigente d’azienda. Ce lo dice “la gente”… anche senza scomodare i sondaggi… che comunque lo confermano. Si dovrebbe fare una riflessione anche sul fatto che solo una “minimissima” parte del pubblico cui aziende e comunicatori si rivolgono, conosce l’esistenza degli istituti di vigilanza e controllo e, quando li conosce, non è sufficientemente informata su come potervi far ricorso. Mantenere basso il livello di informazione su questi aspetti è una scelta precisa? La risposta è intuibile ed è tipica di un modello dove tutto rincorre risultati nel brevissimo termine e ad ogni costo, in cui i comunicatori potrebbero svolgere un ruolo molto più rilevante di quello attuale, suggerendo investimenti su progetti socialmente utili facendoli conoscere, sostenere e firmare dalle aziende. Ne deriverebbe un acceleratore, non un freno, che farebbe crescere aziende, agenzie e pubblico costruendo una società più sensata, intelligente e inclusiva. Qualcuno che lo ha capito già c’è… ma purtroppo sono più le forme di “xxx-washing” che quelle davvero sentite, serie e credibili. Occhio quindi a “chi licenzia chi” e per quale motivo.
Pietro Greppi
ethic advisor e fondatore di Scarp de’ tenis