09/10/2017
Giocare alla lotteria assomiglia molto a pagare le tasse spontaneamente. In entrambe i casi dai del denaro nella speranza che ti torni indietro sotto forma di “qualcosa di più grande”. In un caso lo fai perché obbligato (anche moralmente) dalla condizione di cittadino di un Paese, nell’altro lo fai per vedere se in qualche modo ti riesce di andare incontro a quella che viene chiamata “fortuna”. La delusione nasce quando “gratta gratta” ti accorgi che il tuo “dare” non ottiene il risultato sperato. E osservi (anche se non servono osservazioni così complicate) che il meccanismo, in entrambe i casi, raccoglie da tutti (molti) e quando ridistribuisce lo fa male. Ma proprio male male, al punto che ti viene da chiederti se sia solo la fortuna ad essere affetta da cecità.
Sulle tasse, dal punto di vista etico e sulla loro liceità, gestione, equità e congruità ci sarebbe da discutere a lungo. Ma sulla questione delle lotterie e sui giochi aleatori in genere, possiamo arrivare a parlare di sfruttamento della credulità delle persone, della strumentalizzazione della condizione di disagio economico, di induzione ad avere fiducia irrazionale, di tante cose disdicevoli … ma mai di un pensiero di equità. Non stupisce poi che lo Stato, in qualità di socio di fatto, sia parte in causa nella colpevole “raccolta fondi” derivante dall’avventatezza delle persone che sperano di “fare il colpaccio” puntando ogni speranza sull’irrazionale. Il Governo di un Paese dovrebbe occuparsi di tutelare tutte le persone, soprattutto le più semplici, indifese, inermi … evitando loro i disagi, rimuovendone e ostacolandone le cause possibili. E invece …
La logica dell’arricchimento, dell’accumulo o della raccolta (a seconda dei punti di vista) prendendo poco da tanti, è un modello tanto largamente applicato quanto banale. Al punto che non ci si fa neppure più caso. Non ci si accorge che si tratta di un’equità rovesciata. Anziché distribuire equamente si prende secondo “la disponibilità del momento”. Il Governo stesso ne utilizza “la potenzialità”, direttamente o indirettamente, legalizzando per esempio giochi fino a ieri considerati pericolosi per l’integrità delle persone, assicurandosi che in cambio lo Stato riceva una porzione del “bottino” (quando non subisce esso stesso “il furto” del mancato incasso) e comportandosi, a conti fatti, come un oscuro mandante che si rende responsabile dei numerosi fatti incresciosi e drammatici che da questo derivano. Per non dire di coloro che mandati dal mandante, senza provare vergogna e per mestiere, studiano strategie comunicative per rendere massimamente efficaci gli stimoli lanciati dalla pubblicità dei vari giochi d’azzardo, o di chi chiama ludopatie le patologie di dipendenza anziché azzardopatie come dovrebbero essere invece definite correttamente e onestamente.
Chiedere denaro promettendo e dando in cambio di qualcosa di tangibile (mi dai dei soldi e io ti do un preciso prodotto) è un conto, ma tutt’altra cosa è chiederlo o irretire qualcuno al punto che te lo dia, magari anche volentieri, nella speranza di un fortuito e molto poco probabile grande premio. Certo che ognuno è libero di credere alle sirene anche quando ha l’evidenza della scarsa attendibilità e onestà di esse e della remota possibilità che si avveri il desiderio, ma se imparassimo a cambiarli i nostri desideri, soprattutto quelli indotti, sarebbe un bel passo avanti: furbi, disonesti e violenti resterebbero disarmati, anche quelli che popolano le stanze dei bottoni.
Pietro Greppi ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis