13/06/2016
[…] Non vi è nulla di intrinsecamente buono o di intrinsecamente cattivo nella pubblicità. […] se ne può fare un retto uso o un cattivo uso. […] può avere, […] effetti positivi […] può avere […] un impatto negativo, dannoso sugli individui e la società. […] «I pubblicitari che reclamizzino prodotti e servizi nocivi o del tutto inutili, che vantino false qualità delle merci in vendita, o che sfruttino le tendenze più basse dell’uomo, danneggiano la società umana e finiscono col perdere essi stessi in credibilità e reputazione. Ma recano pregiudizio alle persone ed alle famiglie anche i pubblicitari che creino bisogni fittizi, […] l’acquisto di beni voluttuari, privando così gli acquirenti dei mezzi per provvedere alle loro necessità primarie. Inoltre occorre che essi evitino gli annunci pubblicitari che spudoratamente sfruttino a scopo di lucro richiami erotico sessuali, o che ricorrano alle tecniche dell’inconscio che attentino alla libertà degli acquirenti». La pubblicità tradisce (inoltre) il suo ruolo di fonte di informazione quando travisa e nasconde fatti pertinenti. […] Il più delle volte […] viene usata tuttavia non solamente per informare, ma per persuadere e stimolare, per convincere le persone ad agire in un certo modo: acquistare certi prodotti o servizi, sostenere certe istituzioni e così via. È qui che si possono verificare particolari abusi. La pratica della pubblicità legata alla marca può sollevare seri problemi. […] può tentare di indurre le persone a decidere sulla base di motivi irrazionali (fedeltà alla marca, prestigio, moda, sex appeal, ecc.), invece di illustrare le differenze nella qualità e nel prezzo del prodotto quali basi per una scelta razionale. […] «Non è male desiderare di vivere meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume essere migliore, quando è orientato all’avere non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso». Talvolta i pubblicitari sostengono che creare bisogni per prodotti e servizi, cioè indurre le persone a sentire e agire in base al forte desiderio di articoli e servizi di cui non hanno bisogno, è una parte del loro compito. «Rivolgendosi direttamente agli istinti dell’uomo, prescindendo, in diverso modo, dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale».
Questo […] è ancor più grave quando gli atteggiamenti e i valori consumistici vengono trasmessi, attraverso gli strumenti di comunicazione e la pubblicità, ai paesi in via di sviluppo, dove aggravano le crisi socio-economiche e danneggiano i poveri. «Un uso oculato della pubblicità può stimolare i paesi in via di sviluppo a migliorare il proprio tenore di vita; mentre opererebbe a loro danno una pubblicità ed una pressione commerciale svolta senza discernimento, a spese di paesi che stentano a passare dall’indigenza ad un minimo di benessere; i quali potrebbero persuadersi che il progresso si riduca tutto nel soddisfare i bisogni creati artificialmente, e s’indurrebbero perciò a dilapidare in questi la maggior parte delle loro risorse, a scapito dei loro bisogni reali e del progresso autentico». […] È necessario tenere sempre presente che ci sono «beni che, in base alla loro natura, non si possono e non si devono vendere e comprare» ed evitare «una “idolatria” del mercato» che, avendo come complice la pubblicità, ignora questo fatto cruciale.
Nota bene: nella mia azione di studio, ricerca, approfondimento e raccolta di informazioni ho incontrato un voluminoso testo del “PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI – ETICA NELLA PUBBLICITÀ – Città del Vaticano, 22 febbraio 1997, Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo di John P. Foley (Presidente)- Pierfranco Pastore Segretario” da cui ho selezionato il piccolo estratto che vi ho appena proposto, trovandolo adeguato, utile e incidentalmente totalmente aderente al mio pur laico pensiero. Insomma avrei potuto scriverlo io. Le omissioni, indicate dai puntini di sospensione fra parentesi, sono dovute unicamente a questioni di spazio.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale