19/11/2018
Giochiamo? A cosa? Non vorrei inerpicarmi nella disamina di tutti i giochi del mondo da quando l’uomo è sulla Terra, ma soffermarmi solo su certi “moderni” videogiochi. Quelli violenti per capirci. In questa terza parte di osservazioni critiche su ciò che fanno certe persone, la riflessione è su chi pensa, chi produce e chi commercializza videogiochi basati su scene e azioni violente.
Che “razza” di persone sono costoro? Sanno quello che fanno? Se esiste l’anima, di che colore sarà la loro? Quale nebbia pervade la mente di chi si rende complice della diffusione di “giochi” costruiti sull’applicazione della violenza del “giocatore”, stimolando in lui la voglia di “vincere” a patto che metta in atto (virtualmente) qualche omicidio, strangolamenti, lanci di bombe, stupri, incendi … giustificando questi percorsi di sangue con la ricerca della “vittoria” e il “potere”.
Seppur virtuali, tutti questi percorsi sono pericolosi a priori, perché vengono acquistati e utilizzati da persone anche molto giovani che passano ore e ore “allenandosi” per raggiungere obiettivi virtuali e vuoti, costellati di stimoli violenti ripetuti ossessivamente che, c’è poco da fare, lasciano il segno. Un segno diverso da persona a persona, ma certo mai un segno che consenta all’individuo di elevare la propria personalità verso sentimenti di pace e tranquillità. Non ci vuole uno scienziato per capirlo, basta il buonsenso e pensare che ognuno di noi apprende e si forma tramite tutti gli stimoli che lo raggiungono. Tutti. Per questo è bene selezionare da quali scegliere di farsi “attraversare”. È anche imbarazzante doverlo segnalare, ma non sono il solo fortunatamente. Molti genitori e psicologi da anni denunciano questa presenza malsana fra i giochi che circolano. Ma la questione non riesce mai superare di molto il livello della denuncia perché, ahimè, nella nostra società comanda il business che in questo caso è agevolato dalla sempre più larga diffusione di terminali su cui scaricare dalla rete ogni cosa senza troppe possibilità di controllo da parte delle famiglie. E poi ci si interroga sui motivi che portano ragazzi a compiere atti violenti nella realtà, in gruppo o in solitaria. Una criminologa di lungo corso spiega che “Con alcune tipologie di persone propense all’isolamento, il videogioco diventa un’attività compensatoria che va ad alimentare l’autostima, con un forte scivolamento della percezione della realtà che tende a privilegiare quella virtuale, dove il soggetto si sente più potente e sicuro di sé”.
Se una persona ha dei problemi psichici ancora non identificati, l’uso ripetuto di certi giochi può portarla a costruirsi la convinzione che sia lecito e consentito l’uso della violenza portandola ad assumere una personalità basata su questo. Ed ecco che la società in cui vive questo individuo vede all’improvviso manifestarsi esplosioni di violenza scatenate magari da un semplice dissenso con un compagno o da un giudizio negativo a scuola. Ciò accade perché è provato (dice sempre la criminologa) “… che certi giochi molto violenti sollecitano circuiti particolari della corteccia cerebrale. … si crea una forma di apprendimento selettivo e sistematico che produce risultati molto pericolosi, specie nei bambini e nelle persone con problemi psichici”. Comunque sia non è difficile capire che l’abuso di questi stimoli provenienti dai giochi violenti porta inevitabilmente a provare indifferenza nei confronti del male in generale, della violenza, della ferocia. E ciò accade in modo tanto più amplificato quanto più è fragile e permeabile l’individuo che si sottopone a questo genere di “intrattenimento” che facilmente lo porta a immedesimarsi con il cattivo di turno. Lo vediamo accadere intorno a noi tutti i giorni, in forme più o meno tragiche perché i giochi violenti rendono soprattutto i bambini incapaci di percepire il male per quello che è. Chi dice che “anche nelle fiabe ci sono personaggi crudeli” non comprende che lì c’è un’elaborazione che manca nel videogioco, dove invece la violenza produce una fascinazione. I videogiochi violenti andrebbero proibiti a priori, chi li produce dovrebbe vergognarsi, i genitori non dovrebbero aver paura di negarli ai figli e soprattutto dovrebbero essere messi sulla stessa gogna dove stanno i giochi d’azzardo.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis