26/03/2018
Coloro che popolano le trasmissioni televisive, conduttori e ospiti quindi, sono sempre gli stessi da anni e ogni anno ritornano. Anche ciclicamente. Sempre loro. Perché? Forse perché non esiste nessun altro? Forse perché è comodo non dover cambiare? Forse perché, in un recinto, chi ci sta ci sta e toglierlo ha un costo particolare? Forse perché nel recinto mediatico è un po’ come nel recinto della politica, dove chi ci entra difende la sua posizione alleandosi con chi è già dentro per rendere difficile che qualche estraneo si intrufoli, magari dimostrando migliori qualità? Forse perché è una grande cerchia di amici che usa la tv come un salotto privato? Forse perché “ti ci devi affezionare per seguirli”? Forse per tutti questi motivi? Qualunque sia la risposta, il fatto resta. Resta che le persone di cui sentiamo parlare, quelle che ci parlano e quelle che si parlano nel media televisivo (che va ancora per la maggiore come incisività, nonostante si parli molto della sua decadenza) sono sempre loro, con qualche rara eccezione. E quando capita che qualcuno di loro si sia perso per strada ecco che prontamente lo si riesuma, raccontandone le storie private e non. Figli che denunciano i padri, padri che ignorano i figli, coppie che si “beccano” in studio o “in collegamento”, esternando, a favor di pubblico e senza alcun pudore, sentimenti e fatti privati. Giornalisti che non si fanno mai i fatti loro a prescindere e presentatori che descrivono come “straordinario” ogni peto di qualunque loro amico (cantante, attore, scrittore, comico, sportivo …) invitato alla bisogna per l’autografo privato a dimostrare la conoscenza reciproca. Uomini e donne di ogni età che cercano l’altra metà. Persone note che sono tali grazie alle amicizie presenti nel recinto mediatico, e per questo sono riuscite a farsi vedere molte volte e quindi, secondo le logiche astratte di questo media, vengono anche “innalzate” (impropriamente – n.d.r.) allo status di VIP e pagate per raccontare banalità o intimità che potremmo sentire da qualunque vicino di casa. Ospiti e conduttori che non capisci quando “staccano” perché, se non è prima è poco dopo, te li ritrovi anche cambiando canale … se non in un programma che li ospita (in quanto sono stati presenti in un altro canale), “almeno” in una televendita o in uno spot. Cambiano solamente le reti che li ospitano, a rotazione, copiandosi vicendevolmente i format. Quindi cosa cambi canale a fare? E poi tutto, indifferentemente, viene ripetutamente battezzato con aggettivi superlativi e iperbolici con un pubblico in studio che applaude a bacchetta. Tutto molto triste, nonostante sia tutto da ridere.
Ma cosa produce un tale apatico e imbarazzante modello? Semplice: un effetto imprinting che ti porta a seguire il primo individuo che hai visto quando sei nato come spettatore, portandoti a pensare sia l’unica scelta o quella migliore. Se lo paragoniamo ad una forma di alimentazione (mentale e visiva) è un po’ come se da anni chi ci cucina i pranzi e le cene fosse sempre lo stesso cuoco, abituato a preparare i soliti piatti e ormai incapace anche lui di pensare a qualcosa di diverso, perché tanto lo pagano uguale, abituando contemporaneamente anche i commensali a non desiderare altro, perché ormai non saprebbero cos’altro desiderare. Seguendo questa metafora, se gran parte del pubblico televisivo andasse da un dietologo della mente risulterebbe malnutrito. Eppure il maestro Manzi, nei primi anni sessanta, dimostrò che il mezzo televisivo è uno strumento con potenzialità incredibilmente efficaci e può essere utilizzato per scopi più alti che per remunerare sempre gli stessi simpaticoni e i loro ospiti. Manzi all’epoca ebbe il coraggio di pensare che si poteva addirittura correggere l’analfabetismo diffuso e insegnare l’italiano con il suo programma intitolato ottimisticamente “Non è mai troppo tardi”. Una forma d’impegno altruista: si era chiesto “come posso usare al meglio l’opportunità di entrare in casa di milioni di persone?”. Quel modello, semplice ed efficace andava sviluppato, aggiornato, attualizzato e perpetuato nel tempo, ma non è stato preso come spunto nonostante fosse evidente la sua efficacia. Mi correggo: da quell’esempio si è colto l’aspetto di “causa/effetto” che produceva sostituendo la cultura e l’informazione con banalità e pubblicità idiote … per cui a distanza di anni, gli italiani tendono ancora al semi-analfabetismo di ritorno.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis