08/02/2016
Come possiamo definire e identificare la felicità? La felicità è un concetto relativo e ispiratore di visioni di un benessere soggettivo ed è un obiettivo stabilmente presente nel mondo della produzione e del consumo di cui la pubblicità si occupa. Perché, per il pubblicitario “da manuale”, se il consumo presume un reddito e una predisposizione all’acquisto, l’acquisto –soprattutto se riguarda il superfluo- deve rendere felici, anzi, è tramite l’acquisto che deve arrivare la felicità. La “pubblicità” ha stabilito quindi che la felicità si può comprare, che quindi qualcuno la può anche vendere e che chiunque insegua la felicità, cercherà di trovarla per tentativi, provando questa o quella esperienza, comprando questo o quel prodotto che promette la felicità.
Non c’è però alcuna prova che, con la crescita dei consumi, aumenti il numero di persone che riferiscono di “sentirsi felici”. Se l’aumento del reddito non porta all’incremento della felicità (anche se il sistema ci porta a pensarlo e sempre che sia una questione misurabile), consente però di acquistare oggetti che … la felicità la promettono.
La spinta al consumo si basa quindi soprattutto sul costante stimolo verso la ricerca della felicità, che, in un mondo svuotato di significati o di modelli edificanti, si spera di ottenere solo consumando o possedendo qualcosa, e sulla implacabile verifica che nessuna soddisfazione definitiva avviene mai. Il cerchio dei consumi e della loro lode (la pubblicità) non si chiude in questo piccolo percorso. Resta sempre aperto, viene tenuto aperto, e ne siamo tutti in qualche modo complici e attori. Produciamo ansia da prestazione da consumi: “si è felici se si consuma!”, e sembra quasi un dogma.
Ma si è felici se si consuma? Siamo talmente abituati a convivere in contesti plasmati artificialmente che facilmente potremmo anche rispondere di sì.
Proprio perché non si riesce a stabilire cosa sia la felicità, è sempre possibile per chiunque impadronirsi della “formula magica” per giocarsela commercialmente promettendola. Che poi è quello che aziende e agenzie fanno accadere in continuazione rilanciando ripetutamente una promessa “migliore” dell’altra. Siate felici! Comprate. Si tratta oggettivamente più di illusionismo che di pubblicità. Così ogni prodotto comunica periodicamente di essere migliore non solo del concorrente, ma anche di se stesso del giorno prima. E per evitare che ti ci affezioni lo si rende sostituibile costruendolo irreparabile.
La felicità è insomma relativa e difficilmente cristallizzabile in una definizione che metta tutti d’accordo. Potremmo dire che è la terra di nessuno e di tutti contemporaneamente.
Persone che vivono in luoghi diversi possono percepire come normale ciò che per altri rappresenta la felicità. Può accadere che un cibo o un oggetto che “rende felici” alcuni, rappresenti la dannazione eterna per altri. Sei felice? Quanto? Di più o di meno? Domande stupide. Rispetto a cosa o a chi posso sentirmi felice? A causa di cosa? E poi cosa vuol dire essere felici? Ognuno ha in mente una risposta diversa. Ed è così che anche le risposte diventano oggetto di mercificazione, ma sempre relativa. Schiere di ricercatori e di sociologi si affannano a redigere documenti più o meno seriosi sulla felicità di quell’area di mondo che possono dire di conoscere. Ma la conoscono? Che domande fanno? A chi? E questo “chi” è culturalmente preparato a mandare eventualmente a stendere un sociologo che si picca di poter trarre conclusioni universali o statistiche sulla base di quattro domande e altrettante risposte? Anche per la felicità torna la storia del pollo intero che solo per convenzione statistica viene diviso a metà.
Se fossimo tutti più seri e onesti e se ci abituassimo ad avere sempre uno spirito critico nei confronti di tutto, ci accorgeremmo che promettere la felicità ci rende ciarlatani.
Se davvero sentiamo di poter rendere felice qualcuno, le opportunità non mancano: ci sono milioni di persone che vivono nella miseria. Non serve neppure fare un sondaggio.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale