18/04/2017
Va tanto di moda (ormai da tempo) parlare di storytelling come formula di successo per “arrivare” alle persone. Di cosa si tratta veramente? Non è altro che l’applicazione di un format narrativo a ciò che si vuole portare all’attenzione di un pubblico. Raccontare una storia, un percorso che possa essere seguito (e capito) da chi ti ascolta. Perché allora parlarne come di una novità? Eppure è una formula impiegata con clamore in ambito politico, economico e soprattutto dalle aziende, come “moderna strategia” di comunicazione che ardirebbe essere addirittura “persuasiva”! Se ne parla tanto come fosse una scoperta dell’ultima ora o dell’ultimo guru della comunicazione anche se non è così. E comunque succede che quando questa formula entra nel mondo della pubblicità come nuovo strumento, ecco che subisce uno stravolgimento a cura di coloro che ne sposano “l’idea di fondo”. Ancora non hanno ben capito di cosa si tratta (perché non si ricordano o non riflettono sul fatto che è cosa di tutti i giorni da sempre) e già la rimasticano per adattarla ai propri obiettivi anziché adattare i propri obiettivi a quella “forma del contenuto”. Chi ne fa proseliti dipinge questo “ritrovato” come una questione su cui vale la pena impiegare convegni, corsi e tavole rotonde e assistiamo quotidianamente ad una serie di interpretazioni “creative” e molto soggettive di questa modalità di comunicazione. A dirla tutta questo far tanto rumore avviene, ogni volta, in concomitanza con la “scoperta” di una presunta nuova modalità di relazione con il pubblico consumatore. Comunque sia, lo storytelling (che sarebbe meglio sostituire con il termine in italiano “narrativa”) ci appartiene da quando il genere umano si è trovato a tu per tu con la necessità di comunicare con i suoi simili, trovandosi costretto a creare immagini e suoni in modi che fossero comprensibili agli altri e secondo una consequenzialità affinché la sua comunità sapesse che dietro l’angolo c’era una tigre dai denti a sciabola, o che il bisonte di turno era finalmente diventato cibo per tutti, o per raccontare cos’era successo durante la giornata, etc. La narrativa è una qualità del nostro essere “umani coscienti, parlanti e in qualche modo sapienti”.
Dai cantastorie che intrattenevano la curiosità del pubblico fino al teatro, dai racconti intorno al fuoco alle favole trasmesse oralmente, dalla pittura alla musica … e poi il cinema, i libri … tutto quello che utilizziamo per trasmettere informazioni agli altri è da sempre una forma di narrativa più o meno avvincente che si basa su due fattori fondamentali: l’organizzazione in forma di racconto delle esperienze da trasmettere e la sensibilità culturale di chi riceve il racconto, che poi è quella che mette in grado di attivare i processi riflessivi e formativi. Il modo attraverso cui i racconti vengono condivisi è il “discorso narrativo”, che deriva dalla capacità di “pensiero narrativo” di cui tutti siamo dotati, ognuno ovviamente con caratteristiche proprie. Fondamentalmente insomma ognuno di noi quotidianamente racconta o si racconta. E le aziende? Quelle che sposano l’idea che la narrazione (chi lo chiama storytelling crede di parlare di un’altra cosa) possa essergli utile per rendere più efficace la loro azione di persuasione verso il pubblico, dovrebbero almeno evitare di ingaggiare i cantastorie del nulla e preoccuparsi invece di costruire e mantenere viva la loro storia vera, se vale la pena narrarla, se c’è qualcosa di cui andar fieri. Altrimenti accade che i cantastorie professionisti di oggi si inventano di sana pianta qualcosa di verosimile da far interpretare ad attori più o meno bravi e comunque sempre ben pagati per dire e raccontare storie vuote. Favole, per adulti che stentano a crescere e ai quali qualcuno pensa sia ancora utili e opportuno raccontare storielle. Nei fatti non si vedono campagne o iniziative di narrazione che segnino un qualche punto di eccellenza basato sulla verità vera di un’azienda che possa porsi come un esempio da imitare. Forse che quando si sposa l’idea di raccontarsi secondo i piani suggeriti dalla strategia dello storytelling molte aziende si trovano davanti al fatto di non aver nulla di interessante da raccontare? Probabile.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale