15/04/2019
È diventato a suo modo un format: il tassativo. Quel momento cioè, contrattualizzato fra inserzionisti ed emittente televisiva, nel quale “tassativamente” deve essere interrotto il programma in corso per trasmettere gli spot “previsti e concordati”. Uno spazio particolare quindi, per cui le aziende sono disposte a pagare un quid supplementare. Un accordo che, definito con quel termine, significa letteralmente che si tratta di un patto sul quale non si ammettono discussioni né deroghe.
Ma perché? A chi giova? Giova a qualcuno? Oggettivamente l’unica entità che ne trae incontestabilmente un beneficio è l’emittente che, sul piano economico, si garantisce un’entrata particolarmente interessante e un’implicita potenziale fedeltà di rapporto con i clienti che sottoscrivono questa formula. Non entriamo ora nei metodi di scelta del momento da stabilire come tassativo, che altrimenti saremmo costretti ad approfondire discutibili dinamiche di “selezione del momento”. Restiamo sul fatto mentre accade. Intanto sarebbe bene chiarire che chiamarlo tassativo implica il farlo percepire come un’imposizione “dall’alto”, inevitabile, i cui effetti vengono subiti dagli spettatori e di conseguenza dal programma in corso: sto guardando un programma, sta accadendo qualcosa di interessante e, in quel determinato momento, qualcuno ha previsto che “tassativamente” si deve procedere con l’interruzione. Sarebbe comprensibile e accettabile se si trattasse di un’edizione straordinaria di un TG per comunicare qualche grave e importante accadimento. Ma questa inderogabile necessità di “interrompere” un momento di attenzione, dichiarando pure che questa interruzione è voluta, non discutibile (da subire insomma) è di natura prettamente commerciale, arrogante, presuntuosa. Voluta da aziende (persone d’azienda) che ritengono conveniente e produttivo lasciarti con il fiato sospeso, con la curiosità di vedere come va a finire la storia, come continua il discorso, cosa ha scoperto quello scienziato … In sostanza chi decide queste cose non si pone minimamente la questione in termini di educazione, rispetto, opportunità … pensa solo che la tua curiosità e il tuo interesse ti porteranno a restare incollato allo schermo su quel canale, tollerando un siparietto i cui toni e contenuti sono spesso anche in forte contrasto con ciò che stavi seguendo. Le urla sguaiate di un venditore di materassi stridono sempre con qualunque tema mediamente serio, ma non ne esce meglio neppure l’ambiente melenso, artificiale ed esageratamente patinato degli spot di qualsiasi azienda che ti propone i suoi “consigli per gli acquisti” mentre stavi magari seguendo un servizio sulla povertà o sull’efficienza della sanità pubblica … etc. Imbarazzante.
Ma se dopo una critica è pur necessario e corretto suggerire proposte alternative, allora eccone una: perché invece che organizzare “i tassativi” non si struttura una “regia delle interruzioni garbate” che metta in evidenza in modo adeguato il momento in cui le aziende -che dovevano intervenire- decidono (su stimolo della regia) di rimandare l’interruzione di un po’, per consentire allo spettatore di seguire serenamente un determinato servizio, discorso, pensiero, ragionamento … che altrimenti sarebbe un peccato interrompere. Sarebbe l’occasione per trasmettere -oltre agli spot (che verrebbero fatti slittare)- la presenza di un certo garbo, di un senso di adeguatezza, di rispetto e consapevolezza delle “marche” coinvolte. Un modo per creare una forma di empatia della marca che contribuirebbe, a ben vedere, anche ad attribuirle qualche punto di reputazione.
Qualcosa che in questo senso si avvicini a questo suggerimento è in fondo già accaduto quando Spielberg pretese e ottenne che la trasmissione del suo film “Schindler’s List” non subisse interruzioni pubblicitarie. Ne godettero tutti: aziende, film e spettatori.
Dovrebbe essere tassativo pensarci sempre.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis