21/09/2015
Angelina Jolie ha chiuso la relazione con l’organizzazione umanitaria che l’aveva cooptata come testimonial d’eccezione. Angelina ha tolto il coperchio a quella pentola, ci ha guardato dentro e ha scelto di denunciare un comportamento inopportuno che nessuno aveva denunciato prima.
Accertarsi che le associazioni o organizzazioni umanitarie e di utilità sociale facciano quello che dicono usando correttamente i fondi raccolti tramite i loro strumenti di fund raising appunto, è un’esigenza sentita da ogni donatore, ma per nulla praticata, né facile da praticare.
La posizione della Jolie come ambasciatrice e donna pubblica con un certo potere di seguito mediatico, le ha consentito di accorgersi che i fondi raccolti, più che la causa finanziavano le ingorde pretese di sedicenti dirigenti di quell’associazione. Se n’è accorta osservando gli stili di vita di costoro e una volta accortasene li ha mandati tutti, come si dice, “a stendere” facendolo sapere ai media che l’hanno naturalmente riportato.
Non è la prima volta che emergono e vengono individuati certi comportamenti nel settore del non profit. E, dispiace dirlo, è certo che di pentole da scoperchiare ce ne sono molte altre.
Perché parlarne qui?
Perché i comunicatori, i pubblicitari, i consulenti che prestano la loro opera alle organizzazioni non profit è bene che riflettano sul fatto che la debolezza di quel settore, da più parti dichiarata, non è solo la carenza di risorse economiche, ma anche e soprattutto la scarsa abitudine alla trasparenza dentro e fuori le organizzazioni e la conseguente tentazione tipicamente umana di diventare superficiali nella gestione o di approfittarne.
E mi scuseranno i puri di cuore e gli onesti -che certo ci sono- ma questo è un dato di fatto che rischia di accentuarsi nel momento in cui i consulenti esterni, pubblicitari e non, accettano l’incarico limitandosi a “fare i creativi” bravi a enfatizzare il dolore e a costruire artatamente sensi di colpa, ma meno bravi a capire e a comunicare le dinamiche in cui si muove quell’esigenza.
Le associazioni umanitarie e quelle non profit in genere, checché se ne dica sono, eccome, entità economiche, e se non lo sono devono diventarlo loro malgrado, solo che nel loro caso il denaro non è, come nel profit, un obiettivo bensì uno strumento necessario a raggiungere lo scopo associativo. E lo scopo associativo, solitamente alto e meritorio, non è mai quello di remunerare un dirigente. E men che meno remunerarlo in modo esagerato. Dove ciò accade il marcio incombe.
Per questo, contribuire professionalmente a comunicare l’esigenza di raggiungere un obiettivo umanitario o sociale in genere, chiedendo per questo un contributo o una donazione, autorizza dal punto di vista etico a pretendere di conoscere e ad offrire ogni dettaglio dell’organizzazione cui si presta il proprio contributo professionale. Non chiederlo e non offrirlo a priori è una grave dimostrazione di superficialità professionale che rende potenziali complici di una mala gestione.
La questione etica anche in questo caso è fra le righe e resta in carico a tutte le persone che si occupano a vario titolo di cause degne di essere rispettate e condotte in modo trasparente, serio e non necessariamente creativo.
Angelina con il suo gesto ha dato un esempio di quello che è giusto fare. Sapremo approfittarne?
Pietro Greppi
ethical advisor
fondatore di Scarp de tenis
fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale dei segni – non verbale