24/07/2015
Inauguriamo un nuovo spazio di comunicazione per i nostri lettori. Si tratta di una pagina dedicata a progetti e iniziative particolarmente originali che ci capita di incontrare nella costante ricerca di contenuti per la nostra testata.
Progetti e idee che potrebbero tornare utili ad agenzie e imprese per integrare le proprie proposte di comunicazione attingendo a stimoli altrimenti difficili da intercettare, ma anche perché “da cosa nasce cosa”.
Il contenuto d’esordio riguarda un progetto a nostro parere straordinario e destinato ad attrarre l’interesse di molti.
Si tratta della realizzazione del “Linguaggio universale dei segni – non verbale: il linguaggio senza confini”
Lasciamo che ce ne parli Pietro Greppi l’ideatore e fondatore del progetto che è anche un consulente per la comunicazione etica.
L’obiettivo è preciso: “produrre” una lingua dei segni unica (non verbale), universale. “Più universale” di qualunque altra lingua conosciuta. Una lingua che sia effettivamente lo strumento di unione di un mondo che ha oggettivamente bisogno di capacità di comprensione reciproca. Trovare quindi le risorse per realizzarla e metterla poi a disposizione di tutti gratuitamente.
L’incomunicabilità tra persone deriva da molti fattori, ma il principale ostacolo alla reciproca comprensione risulta essere certamente quello della lingua parlata.
Cominciai a riflettere sul tema del linguaggio universale un giorno che, casualmente, osservavo due bambini che stavano usando un loro “primitivo” linguaggio dei segni.
Non avendo ancora capacità verbali codificate notai che stavano capendosi usando dei segni che, chissà come, gli venivano spontanei. La folgorazione arrivò però quando le rispettive madri li presero con loro: una madre parlava inglese, l’altra una lingua orientale. Quei bambini dunque si capivano senza avere ancora un linguaggio verbale, ma vivevano anche in ambiti familiari i cui stimoli verbali erano certo diversi. Esistono segni e gesti che dunque possono essere capiti da altri che non conosciamo. I due bambini ne erano la prova. E mi venne in mente che esiste un linguaggio dei segni. Anzi più di uno. Li usano prevalentemente persone afflitte da carenze sensoriali. Uno per tutti il linguaggio dei sordomuti. Ma stranamente quel linguaggio non è davvero “uno per tutti”. Perché è la traduzione in gesti di parole della lingua di origine. Quindi ogni Paese ha il suo. Quel giorno mi trovai quindi a riflettere.
È incredibile, pensai, come le comunità di persone sordomute e altre, che potrebbero comunicare e far comunicare con un unico linguaggio in tutto il mondo, con l’agio di non dover articolare lingue parlate, non abbiano colto l’opportunità di farlo. Trovai strano soprattutto che le associazioni dei non udenti e delle persone afflitte dagli handicap che impediscono loro di comunicare, non abbiano avuto una guida che li stimolasse, prima di me, a seguire questa ricerca.
Spesso le idee, anche questa, nascono da semplici considerazioni. Bastava pensarci.
Farsi capire da chiunque risulta necessario, indispensabile e … bello. Ho quindi deciso di occuparmene coinvolgendo persone di fiducia e competenti.Si tratta di un progetto importante, basato su logiche di buon senso e il cui destino non è ad oggi prevedibile. Realizzarlo non sarà facile, ma ho scelto di evitare le cause di rallentamenti inutili come quelle di cercare preventive approvazioni o pareri di enti di qualunque tipo. Il linguaggio va realizzato, di modo che sia solo il futuro a stabilirne l’opportunità di utilizzo. Utilizzo che sarà più facile mettere in gioco una volta completato il progetto, che sarà messo a disposizione gratuitamente.
Ora sto ovviamente cercando sostegni di ogni tipo, soprattutto economici, che possono giungere da ogni fonte. Singole persone, aziende, istituzioni … perché le persone che produrranno questo linguaggio, per quanto possibile, dovranno essere pagate.
Pietro Greppi
ethical advisor per la comunicazione d’impresa