18/03/2019
Gli animali sono portati ad agire dagli istinti. Noi umani – in quanto animali evoluti (!) – l’istinto ci siamo abituati a soffocarlo per adeguarci alle richieste che ci siamo imposti attraverso l’interpretazione di una convivenza sociale sempre più “moderna” … che a ben vedere non è propriamente un luogo di serenità e neppure un ambiente sano, né ospitale. Però questo ambiente, che abbiamo modificato a nostra immagine, cerchiamo di rappresentarlo a noi stessi come accettabile e confortevole attraverso edulcorate forme di auto illusionismo. È così che abbiamo elaborato, codificato e sviluppato le nostre pulsioni, creando un po’ alla volta un mondo dove l’istinto viene represso dall’educazione di una convivenza basata su logiche di cui si è perso il significato … se c’è questo significato e se ha un senso sostenibile. Un ambiente che quindi ci ha costretti a educarci ed educare a gestire quelle pulsioni irrazionali che si generano quando impedisci lo sviluppo, la comprensione e la gestione naturale degli istinti. Pulsioni provocate quindi dagli “impedimenti all’istinto” e che sono espressioni di un disturbo articolato e variabile cui cerchiamo di dare risposte accettabili … che sono poi quelle che la pubblicità utilizza per “sviluppare le vendite”. Non è un salto logico azzardato, ma semplicemente quello che razionalmente possiamo vedere osservandoci da fuori.
Con i nostri acquisti rispondiamo infatti al conflitto generato dal tenere a bada gli istinti, sostituendoli con pulsioni che il nostro sistema sociale cataloga e incanala costantemente, producendo risposte un tanto al chilo, ma omologate e conformi al sistema e quindi ampiamente accettate.
Percepiamo continuamente un conflitto fra ciò che vorremmo e ciò che ci è consentito … e ci arrendiamo accontentandoci di una risposta semplice e temporaneamente gratificante come l’acquisto di un oggetto o di un alimento confezionati ad hoc. “Esperienze” rese sempre disponibili e ripetibili. Un principio di realtà, che agisce da moderatore, permettendo la soddisfazione e la gratificazione dei bisogni, solo se questi sono in sintonia con ciò che richiede la realtà esterna.
Insomma viviamo quelle che qualcuno si azzarda a chiamare tempeste emotive che alcuni non riescono a gestire: situazioni in cui o ti sei (o sei stato) educato a rispondere in modo standardizzato, altrimenti dai di matto o vieni considerato tale. Alcuni hanno anche reazioni violente verso gli altri o verso sé stessi. Dipende dalla forza dei loro istinti.
In altre parole abbiamo disimparato a gestire e a riconoscere gli istinti, ma ci siamo addestrati a convivere con le pulsioni con le quali li abbiamo soffocati.
In tutto questo non dovrebbe essere difficile comprendere quanto il packaging non sia altro che un’evidenza di quanto il nostro sistema tenda a dare risposte confortanti a queste situazioni. Forme e colori delle confezioni dei prodotti che acquistiamo, e a volte anche le forme e i colori dei prodotti stessi, altro non sono che risposte ad un immaginario ideale (e inesistente se non in rari casi) costantemente alimentato dalla comunicazione commerciale in ogni sua manifestazione diretta e indiretta. Non riconosciamo più i pericoli naturali, ma riconosciamo e accettiamo un alimento industriale per il colore della sua confezione e per i suoi rimandi a quello che ci siamo abituati a leggere come appartenente ad un determinato “settore”. Siamo indotti a credere che quello che compriamo sia quello che vogliamo o addirittura quello che ci serve per vivere felici. Cerchiamo confezioni che ci facciano “sognare” di poter diventare altro da noi stessi o per dimostrare agli altri che possiamo farlo. Siamo soggetti costantemente sotto osservazione di un sistema che intende difendersi da ogni cambiamento che lo costringa a essere diverso.
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis