07/11/2016
Quando e se, sperabilmente, verrà il giorno che profit e non profit agiranno in piena sinergia, armonizzando pubblicamente e sistematicamente i reciproci scopi in un’unica azione, allora vedremo realizzata quell’evoluzione che cambierà le cose rispetto a come le vediamo accadere oggi. Significherà che sarà migliorata la consapevolezza di quei due mondi che oggi agiscono ancora troppo separati, ognuno vivendo l’altro rispettivamente come un disturbo del proprio territorio commerciale o come un partner mancato e insensibile.
Di questo tema, semplice e complicato allo stesso tempo, parlo da oltre vent’anni, fin da quando agivo in seno ad un’associazione professionale di categoria per sensibilizzare agenzie e clienti a considerare la presenza del terzo settore, il non profit, come un’opportunità per rendere più concreto e reciprocamente utile l’agire del mondo profit. Allora le mie visioni, pur ascoltate, non venivano seguite né apprezzate dai colleghi delle agenzie pubblicitarie e, anzi, erano dai più considerate appunto come belle visioni, ma inapplicabili perché troppo lontane e per nulla profittevoli. Da allora però qualcosina si è smossa e si sono manifestate anche numerose iniziative (a mio parere ancora troppo confuse e timide) che si sono avvicinate solo in parte a quel disegno di collaborazione sinergica che continuo a sottoporre all’attenzione dei colleghi sperando siano un giorno più reattivi. E non posso negare che il non profit riceva oggi più attenzione di un tempo da parte delle varie Istituzioni e da qualche associazione collegata alle imprese. Ma sia in un caso che nell’altro l’approccio è sempre troppo simile al pietismo. Sembra sempre che il sostegno economico richiesto dal non profit sia diverso da quello da quello del profit, che abbia meno urgenza, che sia questione da relegare solo a momenti di pubblica bontà estemporanea scandita da eventi televisivi. Inoltre viviamo in una società che considera troppo importante l’aspetto economico, come se fosse qualcosa di ineluttabile, di imposto da una qualche divinità suprema e inarrivabile cui dobbiamo sacrificare le nostre esistenze. Andrebbe allora reso più evidente un fatto rilevante, apparentemente invisibile se non volutamente taciuto. Provo a evidenziarlo.
Anche le imprese profit chiedono sostegno economico, esattamente come quelle non profit, solo che lo fanno offrendo in cambio prodotti (spesso di discutibile utilità) il cui valore è inferiore al prezzo richiesto, trattenendo quindi la differenza che diventa il profitto, cosa che io chiamo con quello ritengo essere il suo nome: una questua mascherata che a volte degenera in ricatto (leggasi cassa integrazione). Le imprese non profit (anche loro, di fatto, sono imprese!) chiedono sostegno dando in cambio l’evidenza del loro operato in forma di servizi di utilità sociale altrimenti non disponibili o difficilmente reperibili. Tecnicamente quindi il denaro è sempre presente, ma viene usato in modo diverso: nel profit è il fine ultimo, nel non profit è lo strumento per realizzare progetti sociali. In entrambe i casi ci sono persone che lavorano, che è corretto vengano pagate. Il non profit, vista la sua funzione di utilità sociale può permettersi di chiedere (e ricevere) ad alcuni di offrire il proprio lavoro gratuitamente. Il profit non può farlo: sarebbe ridicolo e inopportuno.
La grande sinergia, la svolta, sarà quindi compiuta quando le imprese profit capiranno l’utilità di usare la propria forza economica, derivata dal profitto, non per comunicare con insulse gag la banalità intrinseca dei loro prodotti, ma per comunicare e promuovere (anche creativamente, perché no?) l’esistenza di progetti sociali portati avanti da enti non profit. Potranno firmare campagne davvero nuove, sensate e utili parlando di realtà che apprezzano, dicendo solo fra le righe quali sono i loro prodotti (che tanto poi li scegli nella grande distribuzione). Il terzo settore insomma è a mio parere destinato ad accrescere il suo ruolo all’interno della società perché va a colmare il vuoto creato dal progressivo ritiro dello Stato dalle politiche di welfare e perché le aziende profit hanno bisogno come l’aria di trovare una giustificazione alla loro esistenza.
Pietro Greppi
Ethical advisor e fondatore di Scarp de’ tenis
Fondatore del Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale