21/05/2018
A qualcuno quella che segue sembrerà solo una critica, ma è invece anche uno stimolo alla riflessione tramite una fotografia che pochi oserebbero scattare. È la foto di un sistema omologato e omologante, conformista e conformato.
Continua imperterrita la corsa delle aziende a farsi promuovere da “mediatori famosi”. Uno spregio al buonsenso, al rispetto e all’intelligenza dei destinatari delle campagne. Ma forse anche una dichiarazione involontaria del modo di considerare “gli altri” da parte di chi fa o propone queste scelte. Sempre più spesso, infatti, accade che comici, attori, intrattenitori, cantanti, blogger (che adesso si autodefiniscono imprenditori digitali!) … personaggi cioè “noti per essere noti” in contesti avulsi dai prodotti che vengono chiamati a suggerire, vengano ingaggiati per ogni genere di prodotto, nella speranza che ricorrere al loro supporto (lautamente pagato e tutt’altro che spontaneo) induca all’acquisto. Che questa intercessione mercenaria possa convincere sull’utilità o bontà di un prodotto sembra quindi siano incredibilmente convinte numerose persone che, non di meno, gestiscono le sorti di imprese “quotate”. Società che quindi costruiscono il proprio futuro, quello di chi ci lavora e di chi ci investe, sulla percezione che il cosiddetto mercato ha delle loro capacità di gestione e di sviluppo. Qualità che dovrebbero escludere a priori lo spreco, la vanità, l’azzardo e le facezie commerciali. Eppure sono centinaia le aziende che anziché investire sull’avvicinamento sincero ai loro potenziali clienti, si impegnano a creare e a far creare contesti lontani dalle persone e comunque artificiali e immaginari, cercando di illudere o sedurre i “clienti consumatori” che quello rappresentato in un loro spot sia un panorama o un sentimento reale o realizzabile tramite il loro prodotto, usando per questo l’abilità creativa dei componenti di un’agenzia (complice e assecondante) e la faccia rassicurante del testimonial. Un meccanismo di forzatura della consequenzialità, tanto illogico quanto irrazionale cui si pretenderebbe venisse accordato un credito … che ahimè in una certa percentuale avviene anche, ma a carico di quella parte di pubblico confuso e manipolabile che andrebbe invece tutelato e segnalato, non alle aziende, ma a chi si occupa di psicanalisi. Detto fra noi … testimonial e influencer sono in realtà solo voci di costo (alte fuori misura) e fonti di autostima (auto accreditata) per coloro che li ingaggiano, felici di “averlo potuto fare” usando denaro concessogli in gestione da una fiducia immeritata e oggettivamente folle. Che questa scelta la facciano o la suggeriscano i capi agenzia o i clienti cambia poco… chi vive da tempo nel settore della comunicazione commerciale queste cose o le sa -e fa finta di nulla per non dover trovare alternative alle vie della fatturazione “facile”- o proprio non è in grado di fare un pensiero autonomo sul significato di spreco di cui si rende protagonista. Uno spreco che appare loro invisibile o giustificato dai cosiddetti ritorni che oggi sembrano misurarsi più in visualizzazioni sui social che sull’incremento delle vendite che, se proprio avviene, è destinato a scemare in poco tempo, costringendo ad investire nuove risorse per tentare di riprodurlo … tipico delle scelte sprecone che mi piace definire “sòle” di lusso. Va anche detto che se qualche azienda, sedotta da chissà quale promessa, si dimostra disposta a spendere certe cifre allora è quasi ovvio che nelle agenzie si faccia di tutto per fargliele spendere, motivandole con mille artifici fantasiosi … che mentre scrivo mi fanno venire in mente le promesse che vengono fatte ai kamikaze … un parallelismo che oggi sembra anche reggere bene visto che “Il pilota kamikaze medio aveva circa 20 anni e studiava scienze all’università. Le motivazioni nell’offrirsi volontario andavano dal patriottismo, al desiderio di portare onore alle proprie famiglie, al mettersi alla prova in maniera estrema. Venivano spesso tenute cerimonie speciali, immediatamente prima della partenza delle missioni kamikaze, nelle quali ai piloti che portavano preghiere delle loro famiglie venivano date decorazioni militari. Queste pratiche aiutavano a romanzare le missioni suicide, attraendo pertanto altri volontari” (cit: Wikipedia).
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis