21/03/2016
I miei articoli sono sempre molto critici nei confronti del lavoro dei colleghi. Ma vorrei chiarire che le critiche sono la mia personale manifestazione del disagio che provo nel vedere tanta intelligenza, energia e risorse usate oggettivamente male. Personalmente credo molto nel potenziale positivo che la pubblicità possiede, ma più il tempo passa e più la vedo diventare una fabbrica di vuoto pneumatico che spreca risorse e produce gli effetti collaterali di cui ho già parlato – effetti ignorati ma devastanti – e che proprio a causa di questi sprechi è costretta a reinventarsi quotidianamente nella costante speranza di diventare più efficace e magari memorabile. È una mia opinione, certo, ma oggettivamente la pubblicità, nonostante goda di grandi capitali, di menti raffinate e spazi esagerati non è ancora riuscita ad essere utile e memorabile quanto Carosello. Per certi versi non si è evoluta se non verso la superficialità e la banalità. La cosa strana è che quasi tutti coloro che lavorano con e per la pubblicità auspicano costantemente che succeda qualcosa di nuovo. Lo dichiarano spesso, ma è come se non si rendessero conto che il nuovo deve arrivare da loro. Da chi sennò. Nei convegni che proliferano, molti chiedono retoricamente il coraggio di cambiare per migliorare, ma aspettano che qualcuno lo faccia per primo. Temono l’ardire di farlo perché significherebbe fare da apripista rischiando di non riuscire nell’intento. Ed allora, intanto, si limitano a cambiare testimonial! L’esempio di Carosello è provocatorio, ma è indiscutibile che quello fosse un appuntamento molto atteso con la pubblicità. Erano, come si dice, altri tempi, pochi spazi, una rete, molti divieti, regole inderogabili. Eppure quel siparietto commerciale è entrato nella memoria collettiva e molti ancora ricordano con simpatia i personaggi, le canzoncine, le storielle, i nomi dei personaggi e, cosa non da poco, i nomi delle aziende e di conseguenza del prodotto, per cui tutto quello veniva pensato. Idee che hanno attraversato generazioni mantenendo loro particolare reputazione positiva e a cui ancora oggi, le aziende che hanno resistito nel tempo, attingono per affermare la propria storicità.
Ma oggi, che di spazi per parlare dei prodotti ne abbiamo “da vendere” e di reti non abbiamo che da scegliere, l’interruzione pubblicitaria è diventata un fastidio necessario anziché un appuntamento cui non mancare. Come si è passati da quel momento così gradito e atteso di 60 anni fa, al “ci interrompiamo per la pubblicità”? Aziende e agenzie sanno bene, non nascondiamoci dietro ad un dito, che le interruzioni pubblicitarie di oggi sono il momento atteso sì dai più … ma per fare altro. Personalmente ritengo che questo sia l’effetto di un comportamento miope e poco riflessivo di tutto il comparto. Sembra che l’unico modo per riuscire a raggiungere il pubblico con uno spot sia quello di “spararlo a raffica” nella speranza che almeno un colpo arrivi a segno. Ma se “mi spari” e se per farlo concepisci le tue strategie come degli agguati… allora io faccio in modo di evitarti. Ovvio.Eppure di spazio da occupare per raccontarsi in modo interessante ce n’è. Di tempo e mezzi per costruire appuntamenti memorabili e vicendevolmente utili non possiamo dire che manchino. Come mai allora la macchina della pubblicità si è incaponita solo nella ripetizione ossessiva di messaggi sempre uguali e martellanti, senza riflettere sull’opportunità di usare meglio tutto quello spazio? Parliamone seriamente. I creativi dell’epoca di Carosello lavoravano in presenza di divieti, di censure e di ostacoli incredibili, e forse fu quello che consentì di sviluppare idee e racconti che nonostante fossero limitati ad un orario e ad una rete ancora ne conserviamo il ricordo.
Pietro Greppi
ethical advisor e fondatore di Scarp de tenis